Famiglia e vocazioni

Ieri pomeriggio abbiamo cominciato la settimana vocazionale presso la parrocchia di san Martino a Riccione e siamo partiti con l’incontro del gruppo famiglie. Già da tempo quando siamo invitati nelle parrocchie cerchiamo di aiutare quelle comunità a comprendere che parlare di vocazioni significa porsi in una prospettiva di verifica sul nostro modo di vivere la Chiesa: non si tratta di fare qualcosa in più, ma di chiedersi se ciò che facciamo e viviamo ci aiuta a costruire quel terreno favorevole che consente alla vita cristiana di essere vocazionalmente feconda.

Vocazione è prima di tutto una questione di prospettiva! Vocazione è la vita vissuta nella relazione con il Signore, una relazione significativa e fondante.

Normalmente, quando pensiamo alla nostra vita, ci pensiamo e progettiamo per obiettivi. I nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno degli obiettivi impegnativi da realizzare. A loro sono proposti percorsi mirati ad acquisire competenze per affrontare le situazioni della vita. Pensiamo: più competenze acquisiscono più risultano adeguati per affrontare il cammino della vita che risulta essere molto difficile e impegnativo.

Analizzando qualche racconto di vocazione, emerge spesso che alcune persone avevano costruito itinerari invidiabili: buoni percorsi di studio, ottime competenze nelle lingue, nello sport, nelle arti, … eppure ad un certo punto questo progetto si rompe; c’è una insoddisfazione oppure un senso di disagio anche quando tutte le cose oggettivamente vanno bene …

Un evento straordinario interviene a fa cambiare la prospettiva della mia vita. A quel punto tutto ciò che era assolutamente importante e frutto di grande impegno e sacrifici, perde la sua importanza perché la vita assume un altro significato. Spesso questi eventi risultano traumatici e dolorosi, anche se sono portatori di una grazia benefica nella vita delle persone. Ma questi eventi traumatici, seppur provvidenziali sono necessari? Occorre per forza arrivare fino a questo punto? Ci chiediamo: è possibile educare secondo un’altra prospettiva? E’ possibile puntare su un modo diverso di pensare la propria vita tanto che essa non risulti semplicemente il frutto di un progetto pensato a tavolino pur con intenzioni amorevoli? Qual è il contributo che una prospettiva vocazionale può dare ad un cammino educativo?

La prospettiva vocazionale parte dalla scoperta e dalla consapevolezza che la mia vita è un dono prezioso e vale non a partire da ciò che faccio, o dalle competenze che posso mostrare nel mio curriculm formativo, ma semplicemente perché è il frutto di uno sguardo d’amore di Dio. Non devo accreditarmi in questo mondo per sapere che la mia vita vale; non devo dimostrare a nessuno che la mia vita è preziosa; non devo apparire adeguato per pensare di valere qualcosa … “Il Signore non guarda le apparenze, ma guarda il cuore” (1Sam 16). Questo sguardo d’amore cambia tutte le cose e mi permette di pensare a me stesso/a come portatore di un dono prezioso da condividere. Questa mia vita è il dono che il Signore mi ha fatto e che io posso condividere con i fratelli, sapendo che più la condivido più la rendo preziosa.

A qualcuno può sembrare una prospettiva utopica e irreale! Ma perché allora le persone che si sentono chiamate e che impostano la propria vita su altre priorità che non sono quelle “del mondo”, riflettono su loro volto una gioia incomparabile?

La domanda a questo punto è: come le nostre famiglie e le nostre comunità ecclesiali sanno testimoniare ed educare ad un’esperienza di vita che parta dalla prospettiva vocazionale? Questa è la grande domanda che ci provoca ad una conversione della pastorale e dell’educazione.

Le promesse di bene

Ecco verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. Ger 33,14

Il tempo dell’avvento che oggi comincia è un tempo in cui fare memoria delle promesse di bene del Signore. In questi giorni, in cui si fa mediaticamente più pressante l’attesa di un giorno catastrofico per la fine del mondo, noi cristiani, ancora una volta, incominciamo ad attendere il compimento delle promesse di Dio che non saranno di catastrofe, ma promesse di bene.

E’ questa consapevolezza che ci porta a pregare: “Maranathà, vieni Signore Gesù” e a levare il capo per attendere la nostra liberazione.

Non crediamo che questo mondo si un inferno, perché il Signore si è reso presente in questo mondo e ci ha ha insegnato ad amarlo; in questo mondo ogni giorno ci impegniamo a porre segni di novità, semi di speranza, condividere il pane della carità, che ci consente di vivere nel tempo e di essere pienamente uomini, non naufraghi aggrappati ad un relitto che difendono il poco che possiedono da ogni potenziale aggressore. Pur tuttavia attendiamo i nuovi cieli e la nuova terra perché sappiamo che le promesse di bene del Signore ancora si devono compiere nella pienezza.

Il tempo dell’avvento è il tempo della memoria di un’attesa. L’attesa può essere memoria solo se ha intuito e intravisto ciò che attende. L’attesa può essere memoria solo se si fonda sulla certezza del bene che proviene da colui che è il protagonista di ciò che si attende.

Tempo di avvento. Tempo di attesa vigilante. Maranathà. Vieni, Signore.

Due grandi e belle chiamate… un solo abbraccio

Accade che nella vita la provvidenza divina ci ponga di fronte a situazioni che agli occhi degli uomini possono sembrare di assoluto contrasto, … quasi inconciliabili. In una comunità religiosa di amiche, le Apostoline di Castelgandolfo oggi è un giorno di festa perché suor Francesca, suor Letizia e suor Debora presentano la loro professione perpetua. Sono ormai diversi anni che hanno intrapreso il loro camino vocazionale e oggi, 1 dicembre 2012, pronunciano il loro sì definitivo al Signore. Penso alle emozioni che sono nel loro cuore, a questo giorno atteso e preparato… penso alla gioia del loro sì, alla consapevolezza del dono totale della loro vita … tutto nel segno della bellezza.

Ieri sera, mi è stato comunicato da don Cristian che suor Annalisa, un’apostolina della medesima comunità, dopo un tempo di grave malattia e un breve momentaneo miglioramento, è stata chiamata dal Signore in quella che mi piace pensare sia la nostra chiamata definitiva, quella che passa attraverso la porta di sorella morte e che ci chiede di abbandonarci fiduciosi tra le braccia del Padre per accogliere il suo abbraccio eterno e infinito. Penso anche qui ai sentimenti di queste sorelle che per tanti anni hanno condiviso la vita e l’impegno apostolico, momenti di gioia e di fatica… e ora la fatica di fare i conti con la morte con un saluto.

Gioia e dolore, vita e morte, accoglienza e distacco … come fare unità? Come presentarsi oggi di fronte al Signore, con quale cuore e quali sentimenti?

Quello che agli occhi del mondo è solo contrasto, nel Signore e nella luce della risurrezione trova una meravigliosa sintesi. Il dono della nostra vita unita all’offerta della sua vita, la risposta alla sua chiamata scegliendo liberamente di essere tutti suoi, il portare in noi stessi il riflesso del suo volto che anche da risorto continua a custodire gelosamente i segni della passione, … questa è la sintesi e l’unità che il Signore ci invita a vivere.

Un abbraccio speciale a Debora, Francesca e Letizia per il dono che oggi fanno di sé stesse. Un abbraccio grato e un “a Dio” a suor Annalisa che ha risposto alla grande chiamata. Un abbraccio a tutte le apostoline che oggi vivono questa intensità di sentimenti pieni di commozione e di speranza.

A te, Signore che hai risposto sì alla chiamata dell’uomo, noi vogliamo ripetere oggi e fino al nostro ultimo giorno il nostro sì. Immagine

Un popolo che canta la sua fede

Siamo nell’anno della fede. La prima cosa che ci viene in mente è che la fede sia da professare, poi da testimoniare, poi da studiare ed approfondire…

Ieri ho incontrato dei giovani che cantavano la fede. Eravamo in pulmino durante la gita e invece di cantare quel Mazzolin di fiori…. Abbiamo cantato alcuni bei canti in francese che professavano la nostra fede di cristiani in Gesù Salvatore e Signore. Noi in Italia pensiamo raramente che la fede possa essere prima di tutto cantata! Eppure sant’Ambrogio in un’epoca molto difficile e di grandi tensioni intra-ecclesiali ha aiutato il popolo di Milano a formarsi nella fede attraverso Inni e il canto dei salmi. Ambrogio ha dedicato parte del suo ministero episcopale nel comporre alcuni inni che insegnava alla comunità di Milano.

Forse in questo anno siamo chiamati ad imparare a cantare la nostra fede.

Un mondo senza fine … anche negli anacronismi

Sono un appassionato lettore di Ken Follet. Ho letto molti dei suoi romanzi e lo trovo uno scrittore appassionante e coinvolgente: un bravo narratore. Uno dei libri più belli che abbia mai potuto leggere è “I pilastri della terra” con il suo sequel “Un mondo senza fine”. Su qualsiasi sito internet potete trovare la trama di questi due romanzi e quindi non spreco battute per raccontarvi la trama: piuttosto leggete il libro.

“I pilastri della terra” è uno dei pochi libri che ho riletto e, quando qualche tempo addietro ho scoperto la trasposizione cinematografica in quattro puntate sono stato contento di poterla vedere. A parte la solita dose di delusione che coglie qualsiasi lettore nel constatare come le proprie fantasie sono state rese dal regista di turno, quella fiction cinematografica non mi era dispiaciuto.

Ho accolto con entusiasmo anche la notizia della trasposizione cinematografica del secondo romanzo della serie e per adesso ho potuto vedere le prime due puntate. Sono rimasto molto colpito dagli anacronismi (soprattutto religiosi) che il film riporta. Probabilmente me ne sono accorto solamente io e pochi altri, ma mi colpisce come certe cose passino senza che la critica ne dica qualcosa. Ne cito solamente tre che mi sembrano macroscopici: ci troviamo all’inizio del 1300, ma nella chiesa di Kingsbridge c’è un bel confessionale anche se sappiamo che il suo uso si è imposto dopo il Concilio di Trento celebrato più di due secoli dopo i tempi narrati dal film; alla cintura delle suore (monache?) è appeso un bel rosario, diffuso nel XIII secolo da san Domenico, ma esploso nell’uso comune dopo il pontificato di Pio V (siamo sempre nel XVI secolo); infine sul comodino del signorotto di turno (violento e prepotente) troviamo un bel libro rilegato della canzone di Rolando, cosa molto improbabile visto che prima della invenzione della stampa il libro era qualcosa di talmente prezioso (perché scritto a mano) che difficilmente poteva trovarsi nella casa di uno che era poco più che un fattore.

Ripeto che probabilmente certe sottigliezze le ho colte io e pochi altri, ma dispiace questa superficialità nella trasposizione in immagini di quello che pretenderebbe di essere un romanzo storico.

Devo dire, per completezza, che mi dispiace anche l’indulgere insistentemente sulla patologica ossessione sessuale e narcisista del priore del monastero, ma, a dire il vero, questa insistenza la si ritrova nel romanzo, perché purtroppo Ken Follet, pur essendo un ottimo narratore, non sfugge alla legge del mercato contemporaneo che esige che ogni storia sia abbondantemente condita da sesso e violenza. Se poi questo coinvolge la Chiesa in quell’epoca  -considerata dai più – oscura, che fu il medioevo, … le vendite sono garantite!Immagine

Romeo e Giulietta …. E la promessa di un amore eterno

Mi é capitato di tornare a Verona per una gita con un gruppo  di giovani universitari: irrinunciabile la visita alla casa di Giulietta con foto al balcone e la foto propiziatoria accanto alla statua di Giulietta.

Mi ha molto colpito notare la ormai solita massa di lucchetti attaccati ad una cancellata storica con un forte dubbio sull’estetica di tale costume. Ma a Verona esiste anche una tradizione più locale: appiccicare al muro antico della casa di Giulietta con una gomma da masticare una dichiarazione di eterno amore. Il risultato è veramente rivoltante!

Poichè nel nostro gruppo c’era un certo numero di africani che non hanno mai letto i “sacri testi” di Federico Moccia che hanno diffuso l’usanza dei lucchetti, mi hanno chiesto spiegazione di tale uso e del perchè la gente attaccasse quei lucchetti. Ho tentato di spiegare che per i giovani rappresentava una sorta di promessa di amore eterno, ma mentre lo dicevo mi chiedevo perchè in una cultura in cui i giovani faticano molto ad arrivare alla scelta definitiva del matrimonio, si indulgesse con semplicità ad una dichiarazione pubblica di amore eterno attraverso un lucchetto.

forse il problema non è il contenuto di una scelta che si desidera come stabile e duratura, ma la forma che, per i giovani non riesce più ad esprimere il linguaggio del loro amore. Sono sicuro che la questione sia ben più complicata da quello che trapela nella mia semplice riflessione, ma può valer la pena di farci una pensata.

Centoquarantadue

Siamo in due, ci divertiamo a condividere i pensieri e a trasformarli in parole

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«Quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»

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