

Molte parole sono state spese per descrivere il disastro che ha colpito in questi giorni quarantadue comuni della Romagna e della provincia di Bologna. Migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case; moltissime aziende, soprattutto aziende agricole, hanno perso i raccolti e subito danni gravissimi; centinaia di frane hanno ferito le zone collinari isolando paesi e piccoli borghi; alcune persone hanno perso la vita sorprese dalla velocità dell’acqua che ha invaso le loro case o nel tentativo di mettere in salvo alcune cose importanti…
Molte immagini sono circolate sulla rete e sulla TV: alcune raccontano la desolazione causata dall’alluvione in una terra feconda e ricca; molte di più raccontano lo sforzo di tante e tanti che si sono prodigati per soccorrere, mettere in salvo, assistere i più fragili e, già da ieri, tentare di risistemare le zone e le case in cui l’acqua si era ritirata.
Scioccanti le grida che risuonavano nel buio della notte di martedì tra le vie della cara città di Faenza: le persone chiedevano aiuto dai tetti o dai terrazzi, chiedevano che qualcuno si prendesse cura di loro, che li mettesse in salvo dalla furia dell’acqua. Quelle grida sono risuonate dentro di me accanto alle parole di un salmo che ho pregato tante volte: Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango, non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare, la mia gola è riarsa; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio. (Sal 69).
Nel momento della paura, quando siamo impotenti e incapaci di far fronte ad una situazione di pericolo, è naturale per noi invocare aiuto, chiedere che qualcuno ci salvi… non vogliamo essere soli, desideriamo che qualcuno riconosca il valore della nostra vita e ci soccorra.
In un mondo in cui siamo abituati a pensare che ognuno se la debba cavare da solo e che è proprio lì – in quella conquistata e riconosciuta autonomia – che ognuno dimostra il proprio personale valore, questa esperienza di fragilità, nella sua drammaticità, assume il peso di una rivelazione! Sì, perché in realtà noi siamo sempre in queste condizioni, anche se non ce ne rendiamo conto, anche se ci illudiamo di essere in grado di badare a noi stessi! L’uomo, ogni uomo, è una creatura fragile, esposta a mille pericoli. Ha sempre bisogno che qualcuno si prenda cura di lui, altrimenti non sarebbe in grado di cavarsela da solo.
In questi giorni scopriamo il grande valore della solidarietà su cui si fonda il nostro sistema sociale e politico (come afferma la Costituzione all’art. 2 che la riconosce come dovere): di fronte all’emergenza e al pericolo qualcuno viene in nostro aiuto, una comunità di uomini e donne si mobilità affinché, nel limite del possibile, nessuno venga abbandonato a sé stesso e tutti vengano accuditi al meglio delle possibilità del momento. Sono commoventi le immagini che hanno mostrato gli sforzi dei soccorritori nelle prime ore dell’emergenza come anche le centinaia di persone, tra cui moltissimi giovani, che già da ieri, sporche di fango, si prodigavano per aiutare coloro che avevano visto la loro casa invasa dall’acqua e dal fango.
Per noi credenti, proprio in questi giorni che ci accompagnano verso la Pentecoste, valgono le parole consolanti che Gesù ci ripete incessantemente nel vangelo secondo Giovanni: Non vi lascerò orfani… non vi lascerò soli; fino a quelle della grande promessa che ascolteremo domenica nella festa dell’Ascensione: … io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Queste parole sono molto importanti nei momenti di pericolo e di fatica, ma lo sono anche tutti i giorni, quando ci troviamo ad affrontare le sfide quotidiane che ci mettono in difficoltà, che ci spaventano… Gesù ci ricorda semplicemente che non siamo soli, che lui ha cura di noi (Cfr. 1Pt 5,7).
E’ proprio qui che si gioca la sfida della nostra fede, come per i discepoli che si trovano sulla barca in balia della tempesta: loro sono spaventati a morte e Gesù sembra addormentato e indifferente; travolti dalla paura gli rivolgono la “domanda delle domande”: ma a te non importa che moriamo? ma per te le nostra vita non vale nulla? Il Vangelo racconta che Gesù si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. (cfr. Mc 4,39-40)
In questi giorni in cui viviamo la paura, la fragilità e la precarietà saremo testimoni di tanta solidarietà da parte di tante persone che si sentiranno chiamate in causa per soccorrere e fare sentire la loro vicinanza a coloro che sono stati colpiti dalla tragedia.
Per noi credenti tale circostanza potrebbe rappresentare un’opportunità preziosa se, proprio in mezzo a queste grandi difficoltà, potessimo fare anche un passo nel cammino della fede, quella che portava san Paolo a dire, con la forza che lo distingueva, “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10). Paolo non era un fanatico o un esaltato, ma semplicemente una persona che aveva fatto l’esperienza viva dell’amore di Dio per lui, un amore che si manifesta principalmente nelle difficoltà, quando noi dobbiamo rinunciare alle nostre sicurezze e facciamo l’esperienza della fragilità (come ci ricorda la pagina delle Beatitudini: Mt 5,1-12).
Lo stesso Paolo, nella Lettera ai Romani, ci ha lasciato una testimonianza fortissima di questa esperienza che caratterizza la fede cristiana, quella che a volte, in modo generico, chiamiamo esperienza di salvezza, che altro non è che l’esperienza di essere amati, di essere guardati e scelti.
Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno… Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? … Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, … né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rom 8,28-39 passim).
Davvero non siamo soli! Mai!