
Il Signore disse a Samuele: “Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele?” (1Sam 16,1). Così inizia il racconto biblico che narra l’unzione di Davide come nuovo re d’Israele, mentre ancora regnava Saul, il re che il Signore aveva ripudiato a causa della sua disobbedienza.
Queste lacrime di Samuele mi sembrano il segno del sentimento che stiamo vivendo in questo tempo della nostra storia, soprattutto a livello ecclesiale: la nostalgia per ciò che non c’è più prevale sulla nostra disponibilità ad impegnarci per ciò che sarà, ciò che il Signore è pronto a realizzare, magari sovvertendo i nostri criteri di giudizio nel valutare ciò di cui “il popolo del Signore” ha veramente bisogno.
Così avviene la scelta e l’unzione di Davide: il Signore che non guarda le apparenze, ma il cuore, e tra i figli di Jesse il betlemita sceglie il più giovane, colui che nessuno avrebbe scelto per essere re d’Israele, un ragazzo fulvo di capelli e bello d’aspetto.
Anche nel racconto degli Atti degli Apostoli che abbiamo letto questa mattina nella liturgia (16,1-10), sorprendentemente, si afferma che lo Spirito impediva a Paolo e ai suoi compagni di compiere la missione lì dove loro avevano pensato opportuno svolgerla. Una certa logica delle cose faceva ritenere conveniente continuare la missione in Misia o in Bitinia (regioni dell’attuale Turchia), ma si rendono conto che la cosa non funziona; non tanto per l’indisponibilità di quelle popolazioni ad accogliere il Vangelo, ma perché lo Spirito lo impediva (!). Scelgono di tornare a Troade e lì, in sogno, scoprono di doversi recare in Grecia: uno uomo, che appare in sogno a Paolo, invoca il loro aiuto. E così accade che attraversano quel confine (lo stretto dei Dardanelli) da cui pregiudizialmente si erano tenuti lontani, e passano in Macedonia.
Il percorso sinodale che stiamo compiendo (con fatica e non sempre troppa convinzione) ci aiuterà (?!) a comprendere come orientare il nostro impegno senza soffermarci nelle lamentazioni per ciò che è stato e non è più tale.
La scelta di Davide, come l’evangelizzazione delle città della Grecia, si riveleranno novità provvidenziali sia per Israele, che godette della guida di un uomo non perfetto, ma “secondo il cuore di Dio”, sia per la storia della Chiesa apostolica, che trovò in quelle regioni grande accoglienza e fu testimone di grandi novità realizzate proprio lì dallo Spirito (le lettere scritte da Paolo alle comunità di Corinto, Tessalonica, Filippi e Colossi ne danno testimonianza).
Cosa significa per noi oggi accogliere l’invito che il Signore rivolge a Samuele o a Paolo?
Ovviamente non lo so, ma in questi due testi troviamo alcuni elementi che ci possono essere utili. L’invito del Signore prima di tutto è quello di alzarci e riprendere in mano ciò che il Signore ci ha donato (l’olio per l’unzione, segno di una benedizione disponibile), per andare lì dove c’è vita in abbondanza (Jesse è padre di sette figli); lì può accadere qualcosa di buono. Ascoltare il grido di aiuto che sale da un’umanità ignorata, che attende un aiuto, uno sguardo, una parola di bene…
Forse occorre saper riconoscere come lasciarsi guidare alla novità che il Signore è pronto a realizzare se noi ci facciamo condurre da lui e abbandoniamo le nostre nostalgie.