Discepoli di Gesù, famigliari di Dio e fratelli tra noi

Articolo scritto per le Piccole Suore dalla Sacra Famiglia

L’occasione di questa riflessione ci è stata fornita dalla memoria della Presentazione al Tempio della Vergine Maria, con le letture proposte dalla liturgia (Zc 2,14-17; Mt 12,46-50). Nel testo di Zaccaria si invita la “Figlia di Sion” a rallegrarsi perché il Signore viene a dimorare in mezzo a noi (ripetuto per due volte). Questo annuncio profetico, come ben sappiamo, si compie a partire dall’Incarnazione del Signore, espressa in modo così forte dall’Evangelista Giovanni con quell’espressione che ci lascia sempre pieni di stupore: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… (Gv 1,14). Il Signore che viene si fa nostro prossimo e ci chiede di essere accolto come una persona che è molto vicina a noi, come un famigliare.
Nel testo del Vangelo, Gesù, in modo molto esplicito, evidenzia la nuova famiglia che si è creata con i discepoli a partire dalla condivisione dell’ascolto della Parola di Dio, una relazione che mette in secondo piano quella naturale che lo lega alla madre e ai fratelli.

A partire da questi testi ci possiamo chiedere cosa significhi diventare discepoli di Gesù? Quale relazione siamo chiamati a stabilire con lui? Come si esprime in modo più approfondito questa famigliarità con il Signore?
Provo a proporre alcune note per sviluppare una breve riflessione.

Nella tradizione ebraica, era il discepolo (la sua famiglia di solito) che sceglieva la scuola del rabbino da cui farsi istruire (come Saulo era stato inviato alla scuola di Rabbi Gamaliele). Gesù sovverte questa usanza e sceglie lui i suoi discepoli: li chiama personalmente a seguirlo in un’esperienza itinerante che comprende una condivisione totale della vita con lui; è una vita molto essenziale e povera, tutta impegnata nell’insegnamento proposto non in una scuola, ma sulla strada, nelle piazze, sulle rive del lago e rivolto alla gente comune, ai più poveri, a coloro che non avevano speranza di poter entrare in una scuola rabbinica.
Con i suoi discepoli Gesù forma un legame famigliare e fraterno: ha chiesto loro di lasciare la casa e la famiglia per vivere senza casa, ma non senza famiglia.

Questa dimensione famigliare, oltre che nelle relazioni con i discepoli che condividono con lui la quotidianità nel tempo della missione, rappresenta anche il contenuto forte dell’insegnamento di Gesù.
Nella rivelazione del volto del Padre e rivelando sé stesso come il Figlio di Dio amato (teofanie del Giordano e del Tabor), Gesù ci coinvolge in un’esperienza che richiede anche a noi di entrare in questa relazione filiale con Dio, una relazione che salva l’uomo dalla solitudine e dall’abbandono che sperimenta a causa del peccato.

Ci sono molti testi evangelici in cui Gesù ritorna su questo tema, ma la parabola del Padre misericordioso (Lc 15,11-32) esprime in modo forte cosa significhi entrare in quella salvezza che lui è venuto a realizzare nella Pasqua. Quel figlio che si allontana dalla casa paterna per vivere la sua autonomia siamo noi quando, a causa del peccato, ci allontaniamo dalla relazione con Dio, la rinneghiamo come non necessaria alla nostra vita. Il Padre però è pronto ad accoglierci in casa e restituirci la dignità filiale che noi avevamo rigettato. Questa parabola ci interpella anche sulla dimensione fraterna perché, come sappiamo, in quella casa c’è un fratello maggiore che si oppone duramente all’accoglienza del fratello ritornato e accusa il Padre di ingiustizia; si tratta di un uomo che, pur potendo abitare come figlio nella casa del Padre, si limita a vivere una relazione da servo (o da dipendente).

Un’altra parabola fondamentale di Gesù, sempre tratta da Vangelo di Luca, riletta dal Papa nell’Enciclica Fratelli tutti come fondamento della fraternità umana ed evangelica, è quella del “buon samaritano” (Lc 10,25-37). L’insegnamento di Gesù parte dalla domanda del dottore della Legge che cerca di definire i confini della prossimità entro i quali vivere quell’amore richiesto dal comandamento di Dio. Gesù ribalta la prospettiva e, nella parabola, ci mostra una fraternità che nasce da una scelta di coinvolgimento, di compassione, di presa in carico compiuta da un uomo che, di per sé, aveva tutti i diritti per dichiararsi estraneo a quell’uomo trovato ferito sulla strada. È una fraternità nuova, che nasce dal cuore di una persona che ha saputo andare oltre i confini tristemente imposti dalla storia delle relazioni tra Giudei e Samaritani (Cfr. Gv 4 e Lc 9,52-53).

Sarà san Paolo, nelle sue lettere, ad esplicitare la categoria della famigliarità – e in particolare della figliolanza – come frutto dell’esperienza Pasquale a cui i cristiani sono chiamati. In particolare, ci sono due testi della lettera agli Efesini che mi sembrano particolarmente significativi.
Nell’inno del primo capitolo (1,3-6), san Paolo riporta questo testo: Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti … predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà
Nel secondo capitolo (2,14-22) san Paolo ci riporta un altro testo ecclesiale che inneggia alla vittoria pasquale di Cristo dicendo: Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, … Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio…
Ciò che il Signore Gesù ha realizzato per la nostra salvezza nel mistero Pasquale, secondo Paolo, si manifesta in una ritrovata famigliarità con Dio grazie all’abbattimento dei muri di divisione (li avevamo alzati noi) che la impedivano. Tutto questo rappresenta per noi una grande benedizione, ma – con stupore – scopriamo che corrisponde anche ad un misterioso e benevolo disegno di Dio, che da sempre ci voleva come suoi figli adottivi.

In sintesi, dunque, si potrebbe affermare che Gesù ci chiama ad essere suoi discepoli; ascoltando le sue parole, condividendo la sua vita e la sua missione noi impariamo a vivere da figli di Dio e da fratelli tra noi; questa esperienza diventa reale e possibile grazie alla Pasqua di Gesù, mediante la quale noi siamo riconciliati con il Padre e possiamo vivere da famigliari di Dio, compiendo il disegno del Padre che, creandoci, a questo ci aveva predestinati.
Essere discepoli di Gesù rappresenta la via che il Signore ci propone per diventare famigliari di Dio, esperienza che diventerà piena quando raggiungeremo la meta del nostro cammino e saremo presso di Lui; mediante i sacramenti pasquali e mediante la Chiesa, però, noi possiamo pregustare fin da ora questa famigliarità con Dio, perché in Cristo essa è un’esperienza già attuale, e possiamo manifestarla e testimoniarla nella fraternità che viviamo con gli altri battezzati e con tutti gli uomini e le donne predestinati  a condividere con noi questa relazione con il Padre. Davvero possiamo dire con tutto il cuore: Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo (Ef 1,3).

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

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