Esercizi di speranza

Sabino Chialà, monaco di Bose e nuovo priore della comunità, la settimana scorsa (27 giugno – 1 luglio 2022) ha guidato un corso di esercizi spirituali rivolti ai vescovi e ad alcuni presbiteri della nostra regione. Tra le sue riflessioni molto ricche, mi porto a casa quella sugli esercizi di speranza.
La speranza non è ottimismo o pensiero positivo; non è la propensione a vedere il bicchiere mezzo pieno. La speranza è una scelta: la scelta di vivere nel mondo lasciandosi guidare da una promessa di bene che viene da Dio.
Non appartenendo al carattere o alla sensibilità della persona, la speranza va allenata con degli esercizi che ci consentono di alimentarla senza lasciare che si affievolisca o venga travolta dalle vicende della storia con le quali è necessario confrontarsi per rimanere radicati.

1. Il primo esercizio di speranza riguarda la memoria. Se la speranza è la capacità di vivere il presente protesi verso il futuro, questo non è possibile senza un forte radicamento nel passato; un passato custodito senza nostalgia, ma come “luogo della memoria” di un’esperienza di bene e di una promessa che sostiene il mio cammino.
Senza questa memoria dell’esperienza di bene, la speranza diventa un’illusione, una chimera. Io posso sperare perché ho fatto esperienza della bontà e della fedeltà di Dio, perché faccio parte di un popolo che ha condiviso questa esperienza di bene. Se questo bene è scritto nel mio passato, posso sperare ragionevolmente che sia previsto anche nel mio futuro: perché Dio è fedele. La mia esperienza di credente, come quella di tanti uomini e donne credenti che mi hanno preceduto, è sostenuta anche da una promessa: il compimento del Regno di Dio. Anche questa la memoria di questa promessa sostiene la mia speranza: perché il Signore è fedele.

2. Il secondo esercizio di speranza coinvolge l’audacia. Non si alimenta la speranza se si rimane immobili nel “si è sempre fatto così“. L’audacia non è imprudenza, ma disponibilità a compiere dei passi (anche in direzioni nuove) per dare concretezza al Vangelo. Audacia è accogliere un figlio, condividere i propri beni con chi è nel bisogno, aprire la propria casa a chi chiede accoglienza, perdonare chi ci ha fatto del male, testimoniare la propria scelta di fede, rinnovare la prassi pastorale, creare occasioni di incontro con chi è più lontano … Niente che non ci venga già chiesto dal Vangelo, ma che, stranamente, noi abbiamo imparato a ritenere straordinario.

3. Il terzo esercizio di speranza richiede perseveranza. Chi vive nella speranza non ha la pretesa che le situazioni cambino immediatamente, ma sa permanere nell’impegno in attesa dei frutti che verranno a tempo opportuno. La perseveranza è la capacità di dare valore ai piccoli e lenti (piccolissimi e lentissimi) passi che segnano il progresso di un processo, vincendo l’impazienza dei risultati immediati.

Per alimentare la speranza occorre radicarsi nel passato esercitando la memoria grata, abitare il presente con audacia, proiettarsi nel futuro attraverso una perseveranza umile e fedele.

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

Una opinione su "Esercizi di speranza"

  1. La speranza, secondo me, si alimenta se si guarda alla punta terminale della scalata, dove c’è Gesù. -Quando Reinhold Messner scalava uno dei suoi 8000 metri non guardava quanta gente saliva di fianco a lui ma quanto spazio c’era prima delle vetta. Se poi sulla vetta non c’è soltanto Gesù ma la possibilità di duplicarlo davvero ( MIO corpo; MIO sangue; IO TI ASSOLVO) allora la fatica della salita scompare.

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