Scelte per la pace

Riflessioni divergenti (e forse utopiche)
rispetto al pensiero dell’ineluttabilità della guerra

In questi giorni, seguendo l’evolversi quotidiano della vicenda della guerra in Ucraina, sono molto colpito dall’inefficacia di ogni incontro a livello internazionale, almeno di quelli di cui la stampa rende conto. In qualche momento sembra si possano aprire degli spiragli per un confronto che vada verso la fine del conflitto, ma poi risultano solo mosse strategiche per ottenere vantaggi sul campo.
Man mano che i giorni passano, come afferma il Papa, sembra che la logica del conflitto diventi ineluttabile, che l’unica via per “costringere” il presidente Putin al dialogo sia caratterizzata da più sanzioni economiche alla Russia e più armi all’Ucraina. Questo, d’altra parte, chiedono gli Ucraini per bocca del loro Presidente: “armi, armi, armi“, parole che, pur non mettendo in discussione il diritto all’autodifesa del popolo ucraino, non ci possono lasciare indifferenti.
Ovviamente ci sono molte cose che non vengono portate alla conoscenza del pubblico: è logico ed è giusto; ma l’impressione è quella di essere entrati in un loop da cui sarà molto difficile uscire.

I vari capi di governo dell’Unione Europea, ancora una volta, anche in una situazione di emergenza come questa, non riescono a trovare una via comune, individuare un percorso condiviso: ognuno prova a difendere i propri interessi nazionali per uscire più indenne possibile dalla crisi, anche a scapito di altri. Ancora una volta l’Unione sembra fallire il suo ideale e la possibilità di diventare interlocutore credibile in una situazione di crisi mondiale.

Le voci dei pacifisti e dei movimenti nonviolenti, vengono tacitate come ingenue e irrealistiche. Gli obiettori di coscienza in Ucraina vengono denunciati come traditori della Patria, così come in Russia i dissidenti vengono arrestati.

Un’altra cosa che mi colpisce molto, in questo gli USA stanno davvero alzando i toni, è la delegittimazione personale del presidente Putin, atteggiamento irragionevole sia sul piano strategico che su quello politico se si desidera aprire tavoli di dialogo. La tradizione cristiana, pur non negando la gravità delle responsabilità personali e la necessità di una giusta sanzione, distingue sempre tra “peccato e peccatore”: mi sembrerebbe una modalità intelligente per affrontare questa situazione.

Viene da chiedersi se ci sia davvero qualcuno che desidera aprire una via di dialogo per raggiungere una soluzione di questo conflitto o se si attenda la capitolazione del nemico, secondo la logica perseguita nella Seconda Guerra Mondiale (dopo i bombardamenti a tappeto sulle città tedesche e l’atomica sulle due città del Giappone).

Credo che, per aprire questa via, ci siano tre scelte importanti che gli stati europei debbano compiere in modo urgente per avviare un processo di pace:
– Avere il coraggio di dire ai propri cittadini che la guerra in Ucraina (e quindi in Europa) coinvolge anche noi, non solamente nelle conseguenze passive del conflitto (aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia), ma anche per scelte politiche attive che vadano nella direzione di sottrarre le risorse che alimentano la guerra. La pace ha un prezzo che occorre essere disponibili a pagare se la si desidera, così come si è scelto di pagare per tutte le misure di contrasto al Covid. Non si può chiedere la pace pensando che il prezzo lo debbano pagare altri. Tale situazione dovrebbe portare, come è accaduto in parte nella situazione del Covid, a vivere una solidarietà totale tra le nazioni dell’Unione e – all’interno dei singoli stati – tra i cittadini, per testimoniare una risposta efficace alla logica della guerra e “fare desiderare” a tutti di far parte di una Unione di stati che ripudia la guerra e risponde ad essa con la logica della fraternità e della solidarietà.
Questa posizione darebbe credibilità alle affermazioni dei capi di governo e dei rappresentanti dell’Unione e ci libererebbe dal ricatto di chi è convinto (a ragione per adesso) che le nostre economie nazionali debbano essere difese anche a costo di migliaia di morti, e che, oltre le affermazioni di principio, non ci sia la reale disponibilità di compiere scelte concrete.
– Di fronte a chi rappresenta regimi totalitari occorre testimoniare coerentemente e concretamente cosa significhi fare parte di sistemi democratici che difendono la dignità delle singole persone e la giustizia. Come ricorda sempre il Papa, la guerra è generata dall’ingiustizia e alimentata dalla reazione delle vittime dell’ingiustizia. Come hanno osservato molti analisti, l’aggressione del presidente Putin all’Ucraina, sostenuto discretamente dalla Cina e da altri paesi con regimi totalitari, è in ultima analisi l’aggressione ad un sistema liberaldemocratico ritenuto pericoloso, degradato e sostanzialmente ingiusto. Non si può non considerare questo giudizio, espresso anche dal patriarca Kirill, che vorrebbe legittimare questo conflitto come una guerra contro l’abiezione dell’Occidente.
Lasciando perdere il dibattito ideologico che supporta tali posizioni, mi chiedo quale testimonianza di democrazia riusciamo a dare nelle nostre nazioni a fronte di problematiche endemiche alle quali non c’è volontà di dare risposta (se penso all’Italia penso ancora all’evasione fiscale, al lavoro nero, alla corruzione, alla malasanità, allo scarso investimento nell’istruzione, alla reale parità di diritti tra uomini e donne, tutti fenomeni sui cui prospera la malavita e le varie organizzazioni mafiose …). Quei valori che affermiamo di difendere (libertà, uguaglianza nei diritti e nei doveri, rispetto della dignità di ogni persona, partecipazione) trovano una concretizzazione nei nostri stati democratici? Come testimoniamo la giustizia, e i valori connessi, che le nostre costituzioni proclamano? Come ci impegniamo per combattere l’ingiustizia, la corruzione, l’illegalità, l’ineguaglianza pratica? Anche questa provocazione, sul fronte interno, significherebbe impegnarsi per scelte che rafforzano la nostra credibilità nel desiderio di pace.
– La terza scelta si prospetta più a lungo termine e dovrebbe riguardare un cambio radicale dei paesi europei rispetto alla politica neocoloniale verso i paesi fornitori di materie prime, soprattutto quelli dell’Africa. Finché i nostri sistemi economici saranno basati sullo sfruttamento dei paesi produttori e sul finanziamento delle guerre in loco per conservare i diritti di sfruttamento delle risorse a solo vantaggio delle compagnie europee, americane, russe, e cinesi, sarà molto difficile sedere ad un tavolo per fare la morale a qualcun altro perché ha scelto la via della guerra per ottenere ciò che ritiene necessario per il proprio Paese o un diritto. Certamente usa metodi molto più violenti ed è molto più spregiudicato di noi nell’ottenere quello che vuole, risultando inaccettabile e ingiustificabile sia nel merito che nel metodo, ma la sostanza non cambia molto.

Qualcuno potrebbe pensare che tali questioni, di fronte alle notizie che ogni giorno ci arrivano dal terreno di guerra, non siano affatto attuali e neppure prioritarie. Ma poiché abbiamo imparato che tutto è connesso, questa terribile crisi, insieme a tutte le altre di cui difficilmente riusciamo a prendere seriamente coscienza riguardo all’urgenza (crisi climatica, migratoria, demografica, economica, …), ci dovrebbe spingere a compiere dei cambiamenti importanti e a rinunciare alla logica che mira solamente a difendere un sistema che è gravemente ammalato (“pensavamo di essere sani in un mondo ammalato“, Francesco, piazza san Pietro, 27 marzo 2020).
La terza guerra mondiale che, seppure in modo frammentato, si combatte da anni in varie regioni del pianeta, ora è venuta a bussare alle nostre porte e giustamente siamo spaventati e desiderosi di pace.
Questa pace ci sarà solamente quando la penseremo per tutti, quando di fronte a qualcuno che decide di combattere si alzeranno altri che, poiché credibili e non ricattabili, potranno dire con autorevolezza che non è quella la via per affrontare le questioni che sono alla base del conflitto o per giudicare immorali e ingiuste le azioni che nascono dalla scelta di combattere.

Se si cerca con sincerità la via del dialogo, occorre spiazzare l’avversario, non con una manifestazione di forza superiore, ma con la testimonianza di una giustizia desiderabile da chiunque afferma di desiderare la pace.

Nel frattempo è molto significativo che i popoli dei paesi europei si aprano all’accoglienza dei profughi di questa guerra; ma dovrebbero sentire un grande imbarazzo e confessare al propria vergogna perché spesso nel passato (e ancora oggi) hanno chiuso le porte in faccia a chi fuggiva da altre guerre: questa vergogna e questo imbarazzo farebbero molto bene per recuperare i valori democratici che vengono proclamati dalle nostre costituzioni.
Ogni gesto di accoglienza, di solidarietà, di giustizia, di conversione al bene rappresenta un passo verso la pace; combattendo su questo fronte, essendo disponibili a pagare di persona tanto quanto i soldati che combattono con le armi, noi potremo favorire quel processo di pace che stenta a crescere negli incontri diplomatici dei capi di governo.

Una pace che nasce dal basso e che viene alimentata da scelte coerenti alla nostra Costituzione.

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

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