
Apocrifo evangelico – Pasqua 2022
Mi chiamo Simone. Il mio nome ebreo dice che la mia famiglia è originaria della Giudea, ma sono nato a Cirene, una città della Libia molto importante al tempo dell’Impero Romano. I miei genitori, che erano originari di Gerusalemme, si erano trasferiti in Libia per commerciare e là io sono nato e cresciuto; a Cirene mi sono sposato e ho visto nascere i miei figli, Alessandro e Rufo, che portano un nome romano, la nazionalità di mia moglie che tanto ho amato.
Purtroppo lei è morta per una malattia ed io, in un momento di grande tristezza, ho deciso di abbandonare la mia città natale per tornare nella terra dei miei padri, a Gerusalemme, dove la mia famiglia ancora possedeva un campo. Non avevo mai fatto il contadino, ma avevo voglia di cominciare una nuova vita, di ritrovare le mie radici.
Mi ricordo che quel giorno avevo deciso di tornare a casa per riposarmi un po’ e stare con i miei figli. Le giornate erano già molto calde e si cominciava molto presto a lavorare nei campi. Dopo l’ora terza il sole già picchiava forte e non era facile resistere a lavorare nel campo.
Appena entrato dalla porta della città ho visto il subbuglio: probabilmente un’altra delle esecuzioni che tanto piacevano a Pilato, il governatore romano che usava spesso il pugno di ferro per sopprimere le rivolte.
Io, a dire il vero, non mi interessavo di politica: pensavo alla mia famiglia, ai miei figli Alessandro e Rufo e alla fatica che facevano ad ambientarsi in questa città per loro molto diversa da quella dove erano nati; ma qui avevo deciso che sarebbero cresciuti, nella riscoperta delle loro radici ebraiche.
Cercavo di tenermi in disparte, con gli occhi bassi, di non mischiarmi alla folla rumorosa, ma proprio mentre passava davanti a me il corteo dei condannati, uno di loro cadde, sbattendo la faccia sulle pietre della strada cittadina. Alzai gli occhi e lo vidi bene: era stato flagellato, sul capo aveva un groviglio di spine, alcune gli si erano conficcate nel volto, … era sfinito. Il patibulum – la parte orizzontale della croce – che era appoggiato sulle sue spalle e sul collo, legato ad ambedue le sue braccia, gli impediva di ripararsi il volto nelle cadute e di rialzarsi.
Non lo conoscevo, ma non potevo rimanere indifferente di fronte alla sofferenza di quell’uomo.
Le guardie, vedendo che non si riusciva a procedere, lo slegarono, lo liberarono dal pesante fardello e si guardarono intorno. Mi videro che guardavo con compassione quell’uomo, e con cinismo, con prepotenza, mi ordinarono di prendere su di me il patibulum e di portarlo fino al luogo del supplizio. Cercai di evitarlo, di dire che mi aspettavano a casa, che non volevo essere coinvolto, ma mi obbligarono con la forza.
Così mi trovai a far parte di quel corteo e a camminare dietro quell’uomo verso cui tutti gridavano e inveivano. Dalle parole che venivano urlate, capii che era il profeta galileo di cui tanto si era parlato anche a Gerusalemme; i suoi discepoli, solo qualche giorno prima, lo avevano accolto esultanti al suo ingresso in città; ora si trovava solo e in balia di un mucchio di gente che gli urlava contro.
Arrivammo al Golgota, il luogo delle esecuzioni appena fuori dalla città. Depositai il patibulum a terra e rimasi ancora un po’ in quel luogo, per riprendere fiato e per cercare di capire meglio. Fu allora che sentii quelle parole, appena sussurrate, che, come una litania, uscivano dalla bocca del profeta galileo: “Padre perdonali, non sanno quello che fanno”.
Quelle parole furono come una spada a doppio taglio che mi penetrava nel cuore.
Quell’uomo ingiuriato, percosso, maltrattato, destinato alla morte più orrenda che si poteva pensare, invocava Dio – che chiamava Abbà, come anche i miei figli chiamavano me – e gli domandava di perdonare i suoi uccisori.
I suoi occhi si voltarono per un attimo verso di me: esprimevano riconoscenza, ma anche tenerezza per me, per il mio dolore nel ricordo della morte di mia moglie.
Lui vedeva il mio dolore, lo sentiva come fosse il suo.
Mai un uomo mi ha guardato come quell’uomo mi guardò quel giorno!
Me ne tornai a casa. In seguito, seppi che era morto dopo poche ore.
Qualche giorno dopo sentii alcuni dire che il suo corpo era stato trafugato da sepolcro, ma sembrava una delle tante chiacchiere messe in giro appositamente per confondere le acque: con la sua morte, infatti, le tensioni non si erano ancora placate.
Un paio di mesi dopo questi fatti, nella festa di Pentecoste, che ricordava il dono della Legge fatto ai padri sul monte Sinai, i suoi discepoli cominciarono a predicare sulla piazza. Mi trovavo anche io tra quella gente di lingue diverse che ascoltava la parola di quel pescatore della Galilea che tutti chiamavano Pietro.
Anche io sentii il mio cuore trafitto dalle parole di Pietro che raccontava di Gesù, il profeta che aveva compiuto segni e prodigi, che dopo la morte in croce era risorto. I suoi discepoli affermavano di averlo visto vivo dopo la morte e di aver mangiato con lui. Non so perché, ma quella parola mi sembrava credibile, mi sembrava una sorgente di speranza per me e per i miei figli Alessandro e Rufo ancora feriti dalla morte di mia moglie.
Per questo, quel giorno stesso ci facemmo battezzare nel nome di Gesù ed entrammo – tra i primi – a far parte della comunità dei discepoli di Gesù, impegnandoci noi pure ad annunciare il Vangelo.
Potevo raccontare che anche io avevo conosciuto Gesù, lo avevo incontrato negli ultimi momenti della sua vita, avevo ascoltato con le mie orecchie una parola che aveva trafitto il mio cuore; i nostri occhi si erano incrociati e avevo visto in quegli occhi la profondità dell’amore di Dio per tutti gli uomini.
Quando Pietro partì per la missione, lo abbiamo seguito, insieme a Giovanni Marco fino a Roma, la capitale dell’Impero, dove venne fondata una piccola comunità tra gli Ebrei lì residenti.
Preghiera di/a Simone il Cireneo
Ho sempre amato la libertà e ho sempre vissuto da uomo libero,
ma quel giorno sono stato costretto dai soldati a portare quella croce.
Tornavo dal mio lavoro, non volevo farmi coinvolgere,
ma i soldati, con la forza, mi hanno costretto a portare la croce.
Mi sono trovato ad accompagnarti, Signore, negli ultimi passi
di un cammino che – in seguito ho saputo – era iniziato da molto lontano.
Mi sono trovato, non per mia scelta,
ad obbedire a parole che tu avevi detto,
ma che io non avevo ascoltato:
“Chi vuole essere mio discepolo, prenda la sua croce e mi segua”.
Quel giorno la mia vita è cambiata, ma l’ho compreso solamente dopo.
Quel giorno ero ignaro di stare accanto al Figlio di Dio,
ma l’ho compreso dopo: il Signore che pensavo lontano da me,
offuscato per il dolore a causa della morte di mia moglie,
mi ha voluto accanto a sé nel momento più importante della sua vita.
Signore, grazie per quella croce che mi hai concesso di portare per te e accanto a te.
Da quel giorno ho compreso cosa significa amare: l’ho imparato da te.
Amare è donare. Amare è perdonare. Amare è morire per vivere.
Oggi non ho paura della croce e scelgo di portarla ogni giorno,
scegliendo ogni giorno di amare.
Quella croce, segno di morte e di violenza, è divenuto l’albero della vita,
la testimonianza di amore dei tuoi discepoli, chiamati a vivere nel mondo
come testimoni dell’amore che hanno ricevuto
e che possono condividere attraverso il servizio ai più piccoli e ai più poveri.
Anche voi, fratelli e sorelle che vi preparate a celebrare la Pasqua,
prendete su di noi la croce del Signore:
non per esibirla,
non per brandirla come un’arma contro qualcuno,
ma per fare memoria in voi stessi,
che siete stati generati dall’amore
e siete chiamati a generare nell’amore i piccoli e i poveri
che la Provvidenza vi pone accanto.
Simone di Cirene, sii nostro maestro e nostro amico,
aiutaci a prendere la croce del Signore
nelle circostanze della vita che si presentano davanti a noi.
Aiutaci a vivere ogni situazione della nostra vita,
anche quelle in cui ci sentiamo costretti e poco liberi,
come un’opportunità per amare,
e sarà proprio lì che vivremo totalmente la nostra libertà,
quella che nessuno può toglierci.
Simone di Cirene, compagno di strada del Signore
negli ultimi passi del suo cammino,
prega per noi.
Bologna, 12 aprile 2022
Comunità Capi Gruppo Agesci Bologna 10
Don Andrea: aereg@emiro.agesci.it
Bellissimo questa presentazione della figura di Simone di Cirene. Grazie don Andrea
Bello, l’apocrifo e bella la preghiera.
Grazie
+fl