Le notizie che arrivano dal teatro di guerra in Ucraina sono sempre più sconvolgenti; le immagini di una crudezza scioccante. Questa situazione ci annichilisce e ci fa sentire totalmente impotenti: non ne siamo abituati! Cerchiamo in modo più o meno compulsivo gli aggiornamenti sulla situazione, vivendo l’illusione che essere informati, il più informati possibile, ci consenta di capire l’incomprensibile, ci dia una sorta di dominio su una vicenda che rischia di travolgere tutto.
Rimane la domanda: cosa posso fare io nel mio piccolo?
Mi devo rassegnare cinicamente a questa impotenza radicale?
Come posso diventare parte attiva per contribuire al processo di pace ed uscire da questo stato di annichilimento?
Queste domande sono le domande di molti; sono le domande che muovono tanti a mettersi in movimento in modo vario, a volte un po’ naif, per fare qualcosa, per non rimanere inerti. Le risposte che vengono date sono tante: chi è sceso in piazza per manifestare per la pace, chi si è buttato nella raccolta di generi di prima necessità da spedire in Ucraina, chi ha aperto la propria casa, chi è partito con un pulmino verso la Polonia per portare in salvo qualcuno…
C’è stata la carovana della pace che ha organizzato un blitz a Leopoli, volendo replicare la marcia a Sarajevo del dicembre 1992… in questo link il racconto di Giulio Boschi del movimento dei Focolari di Bologna, che vi ha partecipato.
Ma io cosa posso fare per la pace?
Mi sono venute in mente cinque cose che posso fare e che mi sembra possano avere una reale incidenza sulla situazione della guerra.
1. Il mio stile di vita. Credo che il fatto che ci sia una guerra non possa non incidere nel mio stile di vita quotidiano. Non posso pensare che, mentre c’è una guerra in cui migliaia di persone si trovano in gravissima difficoltà e precarietà, la mia vita proceda come se nulla fosse. Cosa significa per me vivere questi giorni a partire dal fatto che c’è una guerra in corso che sta sconvolgendo l’Europa e tante altre che stanno sconvolgendo il mondo? Cosa significa nella gestione del mio tempo, del mio denaro, delle mie risorse personali? Come cambiano le mie giornate e le priorità della mia vita? E’ molto importante per me dare una risposta a queste domande per non rimanere inerte.
2. Fare il mio dovere con zelo. La situazione della guerra sconvolge l’ordinario e sembra rendere inutile (a volte ridicolo) l’impegno quotidiano nel lavoro. Non è vero! Se io continuo quotidianamente a fare il mio lavoro con zelo, sapendo che attraverso il mio lavoro io contribuisco al bene comune, io contribuisco alla crescita della pace. Infatti se la guerra è disordine totale, io con il mio lavoro (qualunque questo sia), contribuisco a far sì che sia garantita un’armonia ordinata e che qualcuno possa godere del mio impegno. Anche questa è la pace.
3. Costruire la pace nelle mie relazioni quotidiane. Sarei un ipocrita a desiderare la pace in Ucraina, a pregare per la pace, se non fossi disponibile a vivere relazioni rappacificate nella mia vita quotidiana. La pace passa fondamentalmente dalla disponibilità alla riconciliazione, alla correzione fraterna, alla cura per le relazioni, al rispetto per le persone e per la loro dignità. La pace inizia da me, dalla scelta di deporre le mie armi e percorrere la via del dialogo quando mi trovo a vivere in una situazione di conflitto che mi coinvolge.
4. L’accoglienza e la condivisione. La guerra genera povertà e precarietà. La guerra genera morte, separazione, distruzione… e molti bisogni. L’enorme numero di profughi che ogni guerra genera chiede di impegnarsi nell’accoglienza e nella condivisione perché ognuno possa essere sostenuto nei suoi bisogni primari. A fronte di uomini e sistemi che minacciano la mia vita e quella dei miei cari, trovo altri uomini e comunità che mi accolgono e hanno cura di me, che mi guardano con occhi di tenerezza e si muovono per me.
Ci sono molti modi di accogliere e condividere: ognuno può vivere questa disponibilità secondo le proprie possibilità, la propria vocazione e lo specifico impegno a livello sociale ed ecclesiale, provando a ragionare anche sulla lunga distanza.
Guardo con ammirazione sia coloro che aprono le loro case, come coloro che accolgono nelle loro scuole i bambini che arrivano in Italia; penso a coloro che aiutano nelle pratiche burocratiche connesse all’accoglienza, e a coloro che – con pazienza – si fanno mediatori per trovare la situazione migliore e corrispondente ai desideri di coloro che approdano da profughi nel nostro Paese. Penso a chi ha deciso di condividere il proprio denaro, rinunciano a cose più o meno necessarie. Tanti e diversi modi di accogliere e condividere. Anche questo costruisce la pace.
5. La preghiera. Forse non tutti lo comprendono, ma la preghiera, come ho già scritto, non è il modo per delegare a Dio la soluzione dei problemi del mondo, ma è la via per lasciarsi trasformare da Dio, per crescere nella fiducia, nella speranza, nella fraternità e nella riconciliazione.
Nella preghiera chiedo a Dio la pace per tutti; chiedo al Signore di vivere da fratello di ogni uomo e ogni donna; chiedo di essere capace di condivisione; continuo a sperare in un mondo che non è rassegnato e succube della “logica di Caino”.
La preghiera mi pone di fronte al Padre, accanto a Gesù, mi immerge nello Spirito Santo e mi aiuta a comprendere quale sia la mia vocazione in questa circostanza drammatica; mi consente di relativizzare il mio pensiero perché non sempre è illuminato dal Vangelo.
La preghiera mi aiuta a recuperare la fiducia e la speranza in Dio, il Signore della storia, capace di aprire il mare e di condurre il suo popolo nel deserto nutrendolo lungo il cammino per quaranta anni; capace di fiducia nell’uomo nonostante le sue ripetute manifestazioni di stupidità.
Attraverso la preghiera – cosa più importante – affermo che Dio non ha abbandonato il mondo e l’umanità alla sua stoltezza e al suo peccato, ma ancora e sempre rimane presente accanto a noi, soprattutto accanto a coloro che, nella loro povertà e miseria, levano a Dio il loro grido di aiuto. Attraverso la preghiera io contribuisco a manifestare la presenza di Dio nel mondo e unisco la mia voce a quelle di tutti i poveri e le vittime che invocano la giustizia, la salvezza e al pace.
Io non siedo al tavolo dei grandi, di quelli che decidono le sorti della storia.
Io non ho potere per imporre la pace, né l’autorità per fare cessare le guerre.
Io non ho la forza per contrappormi al male quando si manifesta in modo così forte, né la capacità di risolvere i gravi problemi delle vittime della guerra.
Ma nel mio piccolo posso fare qualcosa per la pace, posso mettere il mio impegno perché le cose vadano diversamente a partire da quella piccola parte di mondo in cui ho delle effettive responsabilità.
Il Signore ci aiuti a credere nel valore del nostro impegno che, offerto a lui come i nostri cinque pani e due pesci, può contribuire a manifestare la presenza di Dio nel mondo.
“Perché se ognuno fa qualcosa, insieme possiamo fare molto” (beato Pino Puglisi, martire).
Bravo Don Andrea: io aggiungerei anche un rilancio della preghiera ” classica”, ovvero: in chiesa, con i sacramenti e la Messa. A me accade di di incontrare gente buona, devota , gentile che prega ma non si sogna di venire domenica prossima alla Messa e tanto meno di confessarsi. E’ una cosa inevitabile? Forse sì ma io mi oppongo: se voglio pregare devo anche manifestare con chi e come voglio far tornare la pace.