
Tra i sei e gli otto milioni di telespettatori ieri sera hanno seguito l’intervista di Fabio Fazio al Papa: una chiacchierata tranquilla in cui papa Francesco, rispondendo alle domande che gli sono state rivolte, ha ripetuto le cose che, per chi lo segue assiduamente, dice da quasi otto anni.
Dove sta la novità?
Certo non è una novità che il Papa sia in TV: lo vediamo spesso nei servizi dei telegiornali, nei momenti di celebrazione, durante i suoi viaggi, negli interventi che propone durante le catechesi, all’Angelus domenicale, in alcune occasioni speciali.
Non è neppure raro che si parli del Papa alla TV, per commentare, per ribattere…
Dove sta la novità?
La novità, come hanno colto gli spettatori, si poteva riconoscere nella modalità in cui il Papa era in TV ieri sera: in una trasmissione in cui non si parlava di lui, ma si parlava con lui.
Mi hanno colpito i commenti che questa mattina sono apparsi sui giornali.
Li dividerei in tre categorie: gli entusiasti, i critici, i benaltristi.
Sugli entusiasti non ho molto da dire: diversi hanno apprezzato questo modo “pop” del Papa di lasciarsi incontrare e il modo in cui ha raccontato di sé, in cui ha condiviso la sua umanità. Nulla di nuovo in realtà: sul Papa sappiamo già quasi tutto, ma il fatto che sia la sua viva voce, in una chiacchierata serale fatta in TV a raccontarlo, ha un altro valore perché, come sappiamo, nel racconto non vale l’informazione condivisa, ma soprattutto la modalità in cui ci viene narrato.
I critici mi hanno stupito un po’ di più, soprattutto quelli che non hanno manifestato contrarietà per gli argomenti proposti dal Papa (posizioni peraltro ben conosciute), ma per il fatto stesso che abbia accettato di concedersi in questa modalità, invocando una difesa della sacralità della sua figura e della Chiesa.
E’ molto difficile per qualcuno riconoscere che in questo tempo della storia la testimonianza della Chiesa si deve giocare nella prossimità, nell’incontro “corpo a corpo”, dove “il toccare” – così tante volte richiamato da papa Francesco – aiuta la Chiesa a cogliere la realtà delle cose e delle persone, ma anche le persone a sentire la vicinanza dei discepoli di Gesù.
Chi pensa ancora alla Chiesa in una logica in cui prevale l’istituzione, il potere, l’asserzione, fa fatica a comprendere categorie come famiglia, servizio, dialogo, le avverte come una rinuncia ad un ruolo che nel passato è sembrato molto importante, ma che ha portato anche tanti battezzati ad allontanarsi dalla Chiesa, riconosciuta come troppo mondana, troppo simile ai poteri del mondo. E’ proprio questa discontinuità evangelica che la Chiesa è chiamata a testimoniare e tale prospettiva passa dall’incontro.
Anche rispetto a Gesù molti rimanevano scandalizzati per la sua partecipazione a pranzi e cene con persone non sempre limpide.
Infine i benaltristi. Le loro osservazioni critiche riguardano soprattutto la RAI per il fraintendimento circa la “falsa diretta” (quella parte della trasmissione era stata registrata nel pomeriggio) e per le domande di Fazio troppo condiscendenti e poco coraggiose: un’occasione sprecata l’hanno definita alcuni (il Washington Post, per esempio) perché un talk show che si rispetti (alla Larry King, per intenderci) è pensato come un ring in cui il giornalista, senza scrupoli, deve mettere all’angolo l’ospite incalzandolo sulle questioni più scottanti e scandalose, costringendolo a rivelare ciò che non è mai stato rivelato.
Mi chiedo due cose: su cosa il Papa non ha già parlato anche in merito alle questioni più difficili e scandalose nelle numerose interviste che ha rilasciato a vari giornali o riviste del mondo? Perché non si può pensare che un incontro possa essere cortese e rispettoso e non necessariamente conflittuale?
Personalmente sono stato contento di ascoltare il Papa in questo contesto, non perché mi aspettassi qualcosa di nuovo (non è proprio da lui – basta leggere le sue ultime encicliche), ma perché credo che abbia vissuto quello che predica: una Chiesa in uscita, cogliendo un’occasione per parlare del Vangelo, attraverso ciò che il Vangelo insegna e di cui lui per primo, con semplicità, sente di dover essere testimone attraverso quel “magistero dei gesti” che caratterizza il suo pontificato.
Mi rimane un timore che però non riguarda il Papa, ma tutti noi chiamati a metterci in gioco allo stesso modo. Il timore è che appoggiamo troppo a lui, alla sua credibilità, alla sua testimonianza. Che ci accontentiamo di citarlo senza affrontare la fatica di elaborare un nostro pensiero. Chi ci accontentiamo di parlare di lui, senza riconoscere che quella strada che il Papa ci ha aperto è una via che anche noi dovremmo percorrere con coraggio, esponendoci, testimoniando.
Se il Papa fa bene la sua parte, questo non esonera noi dal fare bene la nostra lì dove il Signore ci ha posto, cogliendo le occasioni che la storia ci offre.
Condivido.
Siamo chiamati a fare la nostra parte con coraggio se veramente ci crediamo.
Il nostro coraggio deve andare oltre le possibili critiche.