
Tutti conosciamo la parabola della casa costruita sulla sabbia e di quella costruita sulla roccia (Mt 7,21.24-29). Io l’ho letta e commentata moltissime volte, soprattutto nella celebrazione dei matrimoni. Mentre sappiamo che la roccia rappresenta la parola di Dio accolta e praticata, io non mi ero mai chiesto cosa rappresentasse la sabbia e perché Gesù avesse scelto quella immagine? La forza della roccia, con il suo retroterra simbolico ampiamente supportato dalla Scrittura, mi attraeva e mi abbagliava. La sabbia non meritava alcuna considerazione vista la sua inconsistenza, ed è rimasta lì per molti anni sulla pagina del Vangelo, senza che le concedessi la possibilità di parlarmi.
Oggi ho cercato di spiegare cosa significhi che la Parola di Dio è una roccia e quale sia questa parola. Avevo davanti due sposi molto belli, pronti a mettere la loro vita l’una/o nella mani dell’altro/a, e la Parola che mi è venuta da consegnare loro come roccia è stata quella del vangelo di Giovanni: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16).
E’ la scelta compiuta su di noi dal Signore che può rappresentare il fondamento per la nostra casa, perché, come ripetono incessantemente i Salmi, “lui solo è fedele e il suo amore è per sempre“. La sua scelta su di noi è una roccia, non le nostre scelte che sono tutte passibili di infedeltà, di incoerenza e di tradimento (chi non ne ha fatto esperienza nella sua vita?).
Ed è stato qui che ho compreso, proprio mentre ne parlavo, che la sabbia della parabola siamo noi! Siamo noi con la nostra presunzione che sia sufficiente l’adesione intellettuale o morale ai valori; siamo noi con la nostra convinzione di poterci fidare della nostra affidabilità, del nostro desiderio di coerenza e di fedeltà, della nostra giustizia.
Avevo dimenticato il valore di una delle parole che Dio consegna ad Adamo dopo il peccato: “polvere sei e polvere ritornerai” (Gen 3,19).
Questa è la nostra realtà; noi siamo così! E’ importante esserne consapevoli (non solo il mercoledì delle ceneri quando riceviamo quel segno accompagnato da queste parole). D’altra parte questa realtà che ci appartiene non rappresenta per noi una condanna, perché possiamo contare sulla scelta che il Signore ha fatto su di noi, sul fatto che lui sia lo nostra roccia, che ci ami e ci salvi dalla nostra inconsistenza. Grazie a lui possiamo costruire una casa che non teme le intemperie della vita, quelle che spazzerebbero via tutto quanto noi volessimo costruire solo sulla sabbia che noi siamo. Che bello!
Il testo della casa costruita sulla roccia, chiude la parte del vangelo di Matteo chiamata “il discorso della montagna”, una sezione che si apre con la proclamazione delle Beatitudini, la prima della quale, come tutti ricordano bene, è “beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3).
Potremmo tradurla anche così: beati coloro che sono consapevoli di essere solo polvere e sabbia, che non si illudono di poter costruire la loro casa sulla loro presunzione di coerenza o illudendosi di rimanere fedeli ai grandi valori a cui hanno aderito, ma, con il cuore dei poveri in spirito, sanno riconoscere la benevolenza di Dio che per amore li ha scelti e che rimane fedele, “perché il suo amore è per sempre” (Cfr. Sal 136). Costoro sono beati perché non dovranno temere le tempeste della vita, perché non dovranno temere di veder distrutta la loro casa: essa è fondata sulla roccia della Parola di Dio, quella che ci permette di conoscere che siamo amati.
“La mia debolezza trasforma in povertà,
col dono del tuo amore, lo spirito di gioia. Signore, pietà“.
(M. Frisina, Canto penitenziale)