
Negli incontri di questi giorni l’emozione che è stata maggiormente condivisa è quella della paura.
Le persone condividono e confessano che sono spaventate, che la situazione nella quale siamo immersi le fa sentire insicure e in pericolo.
Sono spaventati sia coloro che non si sono ammalati, che coloro che sono passati nel durissimo circuito del contagio da Covid-19, traumatizzati da ciò che hanno subito e ancora portando su loro stessi le conseguenze di quei giorni vissuti in ospedale aiutati dal respiratore.
La paura conduce ad assumere scelte di “autodifesa” molto radicali, atteggiamenti molto molto prudenti, che portano alcune persone ad isolarsi, a privarsi anche dei contatti con i famigliari oltre che con la comunità cristiana a cui sentono di appartenere.
Credo che questa paura debba essere accolta, ma anche riconosciuta (e denunciata) come una situazione molto grave e rischiosa per il bene delle persone. Se essa da una parte sostiene la prudenza (come sempre accade), dall’altra rischia di imprigionarci in situazioni di isolamento molto grave, in atteggiamenti in cui tendiamo a vedere tutti gli altri, anche coloro che sono più vicini a noi, come pericolosi per la nostra vita.
Oltre che accolta e denunciata, per le sue pesanti conseguenze, di fronte a questa paura diffusa possiamo anche annunciare il vangelo della fiducia e della speranza. Non si tratta di indurre in stupidi e insensati negazionismi o in atteggiamenti miracolistici, ma di illuminare questa situazione così fosca con una parola che aiuta a vedere oltre la nostra paura e trovare un punto di riferimento per non affondare.
La parola del Vangelo, infatti, è sempre un messaggio che ci libera dalla paura della solitudine, dell’insignificanza, della morte; alla base dell’annuncio c’è l’amore del Padre che ha cura di noi e la salvezza che il Signore Gesù è venuto a realizzare per noi oltre la morte (Dio ti ama, Cristo ti salva, egli è vivo e vuole che tu viva – Christus vivit).
La parola del Vangelo, poi, ci aiuta a comprendere che non è sufficiente essere sani per salvare la nostra vita, ma che è proprio nell’amore, quello che secondo Giovanni vince ogni timore (Cfr. 1Gv 4,18), che noi possiamo salvare la nostra vita anche se dovessimo perderla in un atto di amore, non vissuto per imprudenza o stupidità, ma come dono totale di noi stessi.
Gesù, che in questi giorni contempliamo nel mistero della sua Pasqua di passione, morte e risurrezione, proprio di fronte alla nostra paura ci invita a seguirlo, a guardare a lui che confida nel Padre e a donare noi stessi per illuminare il mondo e guarirlo da ogni paura.
Grazie don Andrea
Sì è giustissimo rispettare ed essere vicini a chi vive nella paura di questa terribile e logorante pandemia cercando di stimolare a non mollare le relazioni e a non isolarsi. Ne conosco alcuni che veramente hanno subito il male oppure si sono chiusi in attesa che tutto finisca. A loro vanno le mie preghiere di incoraggiamento.
Invece rabbia mi fanno coloro che già in tempi pre-covid non frequentavano chiese d liturgie pur definendosi cristiani e ora ancora peggio ma soprattutto con l’arroganza di pretendere che chi frequenta deve smettere perchè è causa di contagio e addirittura le chiese dovrebbero chiudere come si è fatto per gli esercizi pubblici. Questo mi addolora perchè una liturgia cristiana per chi ci crede è molto più di una tazzina di caffè.