
Governare è una questione difficile che richiede grande competenza, soprattutto in circostanze complicate.
Non è un caso che il termine abbia una radice nautica (vedi dizionario Treccani) e si riferisca primariamente alla capacità di manovrare un’imbarcazione per dirigerla secondo una rotta prestabilita e, solo per estensione, si possa utilizzare questo verbo per riferirsi ad altre realtà, come per esempio una nazione.
Il governo di una nave, come sanno tutti, è sempre una questione corale, e richiede un equipaggio che abbia fiducia in colui/colei che è posto/a a capo del governo, gli/le riconosca le competenze per ricoprire il ruolo che gli/le è stato assegnato e si senta rispettato/a nel ruolo di collaborazione necessaria che ognuno riveste. Nel caso di una nave non ci sono dubbi: è lapalissiano!
Poiché è quasi un anno che ci troviamo su una barca sbattuta dai marosi di diverse crisi congiunte (sanitaria, economica, sociale, climatica, migratoria, demografica, …), crisi peraltro condivise con altre “imbarcazioni” che fanno parte della medesima flotta, o che navigano nel medesimo mare, pare davvero importante sapere che chi deve prendere decisioni importanti per il bene di tutti coloro che sono sulla barca (ci siamo tutti, nessuno escluso), chi si è reso disponibile per governare l’imbarcazione e tutte/i coloro che, in vari ruoli, collaborano più strettamente con lui, lo facciano con competenza e dando il meglio di loro stessi/e. E’ la speranza che tutti nutriamo.
In altri momenti (e lo faremo sicuramente), potremo discutere sulle diverse quote che sono rappresentate tra coloro che sono stati/e chiamati/e a collaborare al governo della nave (uomini e donne, meridionali e settentrionali, appartenenti alle diverse correnti dei partiti, cattolici e laici, …), ma sinceramente ora ci interessa che il timone della nave sia in mani salde e che chi lo ha afferrato, oltre a conoscere le barche e il mare, conosca anche le regole della vita sulla barca (quella che, fuori di metafora chiamiamo la democrazia).
In antico si pensava che il governo fosse un’arte.
Chi si occupa di arte si sporca le mani, non ha paura di sudare, persegue una visione, affronta il sacrificio e sa entusiasmare altri condividendo visione e progressi successivi, motivando le scelte che vengono indicate e chiedendo a tutti di fare la propria parte, sapendo affrontare contestazioni e dissenso.
Nell’era tecnocratica le arti, anche se teoricamente si continua a riconoscerne il valore, sono state relegate ad uno spazio di nicchia: sono divenute antieconomiche, perché richiedono tempo e competenza che costa molto di più di quanto possiamo ottenere con l’utilizzo di una macchina, sia questa un pantografo o un software che, mediante algoritmi studiati appositamente, analizza il valore della popolarità e del consenso su determinate opzioni, determinando le scelte che è più opportuno (opportunistico) compiere.
Io non saprei governare. Sicuramente non una nave; certamente neanche una piccola amministrazione locale, figuriamoci il Paese.
In genere mi fido abbastanza di chi viene scelto, di chi è riconosciuto come competente per farlo. Mi riserverò di esprimere un giudizio sull’operato, sulla coerenza, sul metodo, sul coraggio dimostrati.
Per adesso direi semplicemente a chi ha le mani appoggiate sul timone: governa questa nave, valorizza il tuo equipaggio e portaci a casa perché non siamo fatti per vivere sempre in mezzo al mare.
Io prego solo lo Spirito Santo che affianchi gli uomini del nuovo governo e li renda capaci di utilizzare i suoi 7 doni! L’intervento dello Spirito Santo lo si potrebbe già intravedere nel coinvolgimento, in tempi non sospetti, del capo del governo nella Accademia Pontificia, luogo di approfondimento di punti di vista ben diversi di quelli del potere=dominio bensì del potere=servizio!