Quando la fede e la profezia superano l’istituzione
In questi giorni che precedono il Natale, siamo accompagnati alla contemplazione del mistero dalla figura di Elisabetta.
Lei è il segno che è stato posto innanzi a Maria per aiutarla a credere che nulla sia impossibile a Dio (Lc 1,36-37); lei è colei che aiuta Maria a compiere il discernimento su quanto le sta accadendo, e a trasformare l’ “Amen” pronunciato liberamente e consapevolmente a Nazareth, nel Magnificat cantato e danzato ad Ain-Karim (Lc 1,46); lei è colei che dà seguito alle promesse di Dio, imponendo al bambino da lei nato quel nome (Lc 1,60) che l’angelo aveva indicato (Lc 1,13) e che solo in un secondo tempo sarà confermato dal padre Zaccaria (Lc 1,63).
Questo “protagonismo” di Elisabetta si oppone in modo evidente al mutismo di Zaccaria. Lui che – pur essendo sacerdote e primo destinatario della visione – non aveva creduto all’annuncio dell’angelo Gabriele, si trova ad essere muto, incapace di esprimere con le parole quanto Dio sta compiendo; a differenza di Elisabetta che, ripiena dello Spirito Santo, può dire ad alta voce come stanno le cose (Lc 1,41-42), riconoscendo l’azione benevolente di Dio che toglie la vergogna (Lc 1,25) e viene a salvare il suo popolo facendosi carne nel grembo verginale di Maria (Lc 1,43).
La figura di Elisabetta, nelle prime pagine del vangelo di Luca, risulta tutt’altro che un personaggio di secondo piano. Elisabetta agisce come una profetessa: è lei che sa aiutare Maria a riconoscere quanto Dio sta operando in lei; è lei che prende la parola di fronte al mutismo del marito e annuncia la novità che Dio sta per compiere, una novità che richiede un superamento degli schemi consueti.
Elisabetta (insieme ad altre figure del Vangelo di Luca) manifesta il primato della profezia sull’istituzione. Lei, macerata nel crogiolo del dolore e della vergogna per la sterilità, è divenuta vaso capiente per accogliere lo Spirito di Dio ed effonderlo – tramite la parola – sul popolo in attesa della redenzione.
Mi chiedo se la figura di Elisabetta non possa aiutarci a cogliere il valore della profezia anche nel nostro vissuto ecclesiale.
A differenza del sacerdote – istituzionale per definizione -, il profeta o la profetessa agiscono semplicemente perché ispirati da Dio e inviati ad annunciare qualcosa di nuovo, qualcosa che esce dagli schemi, un intervento che Dio realizza nella storia.
Mi chiedo sinceramente se oggi, in questa realtà ecclesiale un po’ immobile e incapace di spiccare il volo, ci troviamo privi di profezia o siamo sordi al grido dei nuovi profeti e delle nuove profetesse che Dio ci manda.
Elisabetta ci ricorda che quella parola ispirata, spesso viene proclamata non da persone importanti, non dagli opinion makers che vanno in TV o che spopolano sui social, ma da persone che hanno vissuto a lungo l’esperienza della fede e della speranza in circostanze difficili e dolorose, e – se prendiamo sul serio quanto emerge da vangelo secondo Luca – più da donne che da uomini. Siamo disposti ad ascoltare? Siamo disposti a dare la parola? Siamo disposti a confermare quanto esse/i per prime/i affermano anche se esce dagli schemi?
Il mistero del Natale rappresenta la novità che Dio opera nella storia, l’inizio di quella nuova creazione che si compirà nella risurrezione di Gesù. Aprirsi a questa novità, essere disponibili ad accogliere gli interventi di Dio nella nostra storia è ciò che ci consente di vivere il Natale nella sua essenzialità. Dio che irrompe nella storia ci prepara ad accogliere questa novità, ci invia qualcuno che prepara la strada perché il Signore che viene ci trovi pronti e vigilanti.
PS: nelle rappresentazioni della Visitazione, molto spesso, Maria ed Elisabetta vengono rappresentate in primo piano, mentre Zaccaria rimane dietro, un po’ in disparte, ancora incapace di partecipare a quanto stanno condividendo coloro che sono ripiene dello Spirito.
Arriverà il momento in cui, confermando quanto la moglie aveva anticipato (Lc 1,63), anche la sua lingua si scioglierà e anch’egli, riempito di Spirito, potrà pronunciare la sua profezia sotto forma di benedizione (Lc 1,67-79).