
Il fatto
Ieri sera sono stato chiamato a celebrare la messa che precedeva la cerimonia dei passaggi del gruppo AGESCI Rimini 3 (tre branchi, tre reparti, noviziato, due clan e comunità capi), con la partecipazione di circa trecento persone. Intelligentemente i capi hanno pensato di utilizzare lo stadio del baseball di Rimini per garantire il distanziamento di un numero consistente di ragazzi e ragazze.
Tutto è stato predisposto al meglio delle possibilità: canti, impianto audio, preghiere, lettori … il posto era bello; veramente nulla da dire sulla organizzazione.
Eppure la messa non ha funzionato.
Ciò che ho visto
Tutti i ragazzi e le ragazze hanno fatto una grande fatica a vivere la messa.
Probabilmente perché non sono più abituati a farlo, dopo mesi che ne sono assenti.
Probabilmente perché la loro attenzione era concentrata su altro (l’emozione di salutare i grandi che partivano e di accogliere i piccoli che “salivano” nelle varie unità).
Probabilmente perché il luogo e la distanza necessaria dalle norme non hanno facilitato la celebrazione.
Mi sono chiesto:
Mentre quando sono stato chiamato dai capi ho pensato anche io che fosse “normale” proporre la celebrazione della messa (domenicale) in un momento importante come quello della cerimonia dei passaggi, mentre ero lì e osservavo quei ragazzi e quei bambini mi sono chiesto: ma veramente non potevamo fare diversamente?
Non potevamo insieme pensare ad un “momento domenicale” più integrato con la cerimonia dei passaggi, vero polo di attrazione di quella serata per i ragazzi e le ragazze che erano presenti? Davvero abbiamo solo la messa da proporre anche a costo di imporla e – nonostante tutto il nostro impegno – renderla un elemento pressoché estraneo alla serata? Davvero la messa va bene sempre e comunque?
Sono domande difficili che propongo e condivido perché mi sta a cuore il cammino di fede dei nostri ragazzi e e ragazze e perché credo molto nel valore della messa. Credo che dobbiamo avere il coraggio di pensare che, in alcuni momenti (alcuni ben programmati nel corso dell’anno), valga la pena proporre un segno bello, che aiuti a ricuperare il valore della domenica (elemento imperdibile), che aiuti i ragazzi a compiere un passo nella fede (anche piccolo) a partire da quanto stanno vivendo in quella circostanza.
Nel tempo della chiusura delle chiese e della sospensione dell’eucaristia abbiamo sperimentato modalità diverse che, forse, chiedono di essere ricuperate e valorizzate anche quando la messa è possibile, ma non conveniente.
Credo che anche su questo aspetto, dovremmo metterci in ascolto dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze e comprendere di cosa loro abbiamo effettivamente bisogno per compiere il cammino della fede che noi desideriamo condividere e proporre loro.
Grazie ai capi del Rimini 3 che mi hanno invitato e che si sono impegnati a mille per far vivere questo momento ai loro ragazzi e ragazze. Grazie anche perché mi hanno dato l’occasione per riprendere alcune riflessioni che non voglio rimangano relegate ai tempi della quarantena e della zona rossa.
All’inizio di questo anno, nei vari contesti educativi e pastorali, credo che questa riflessione sia utile per tutti, a cominciare da noi preti. Buon lavoro.
Concordo, è tempo (se non è già scaduto) di pensare di più all’aspetto aggregativo, emozionale ed emozionante che è dato semplicemente dallo stare insieme, magari con momenti forti (testimonianze ad esempio, ma anche qui bisogna essere bravi a selezionare). Rimane solo ciò che produce un emozione, il resto passa e non produce niente.
Grazie Don, sei avanti, come sempre!