
Sono sul treno ed ho tempo per riflettere su quanto ho vissuto in questi giorni, per fare un po’ di verifica, per rendere “vero” ciò che ho sperimentato e toccato. Cerco i frutti di questo percorso, fatto in questo momento della mia vita. Alcuni di questi frutti li scoprirò più avanti, altri li posso cogliere e gustare fin da subito.
1. Imparare ancora ad essere discepolo. “Ascolta figlio i precetti del maestro“. Così si apre la regola di Benedetto. L’ascolto è la dimensione fondamentale e prioritaria di ogni credente e deve essere ancora di più la mia. Devo aprire l’orecchio all’ascolto per custodire la verità del mio essere discepolo. “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli”.
2. Imparare ad essere “Abba”. Benedetto dedica un intero e lungo capitolo della Regola per descrivere come debba essere l’abate. Egli non è solo il capo della comunità, ma, come dice il termine da lui scelto, è soprattutto un padre, che accudisce, che richiama, che sostiene, che vive la responsabilità del cammino delle persone che gli sono affidate. Anche in questa dimensione sento di dover essere sostenuto dalla grazia di Dio, l’unico che è veramente Padre e l’unico che è veramente buono (cfr. Mc 10). Chiedo al Signore che mi custodisca da ogni paternalismo e da ogni autoritarismo, e che mi insegni a vivere quell’autorità paterna che è capace di generare e di introdurre alla responsabilità sulla realtà. Tale paternità sarà da condividere fraternamente con coloro che, con me, sono chiamati al servizio della realtà del seminario regionale.
3. Ora et labora (et lege): la sfida dell’equilibrio. Se la Regola di san Benedetto ha attraversato i secoli e si è “imposta” come regola monastica per antonomasia, è proprio grazie al suo grande equilibrio tra le varie dimensioni della persona: spirituale, umana e culturale. Tale equilibrio è una sfida sempre attuale, che ci coinvolge in prima persona e, ovviamente, ci rende responsabili verso le persone che ci vengono affidate. A fronte del rischio – sempre attuale – delle assolutizzazioni, Benedetto mi richiama a considerare la persona nella sua globalità e ad avere attenzione per tutte le sue esigenze.
4. Il valore del silenzio e il valore della parola. Ho già scritto che in questi giorni sono riuscito ad apprezzare il cammino solitario, ma anche la compagnia provvidenziale di coloro che ho incontrato. È stato importante il silenzio del cammino da solo, come le parole scambiate nel cammino in compagnia. Anche qui è importante trovare un equilibrio che, ho compreso, si fonda sulla capacità di riconoscere le opportunità, senza ideologie o schematizzazioni troppo astratte. Per ogni passo del cammino c’è una condizione propria da riconoscere.
5. Essenzialità e contesto. Ho percorso cammini molto più essenziali (penso ai Goum o alle routes con i clan che ho accompagnato). In questo cammino ho ricompreso l’essenzialità come la capacità di stare serenamente in un contesto, accogliendolo così come si offre, rinunciando alla pretesa che sia adeguato a me. Ho cercato di accogliere e apprezzare quanto mi veniva offerto dalla strada, nell’accoglienza, dalle situazioni,… con uno spirito pacificato e con gratitudine, senza attendermi altro. Ho avuto molto di più che in altre situazioni: ho provato a riconoscere tutto come un dono.
6. Umiltà. Uno dei testi evangelici che sono ritornati più volte nelle ultime settimane, è quello in cui Gesù ci invita ad imparare da lui che è “mite ed umile di cuore” (cfr Mt 11). Benedetto dedica tutto il capitolo sette della sua Regola al percorso dell’umiltà che il monaco dovrebbe percorrere, definendo 12 gradini che manifestano la progressione nell’umiltà. Per san Benedetto, mi sembra di capire, tale percorso coincide con la vita monastica. Non per divenire uomini perfetti moralmente impeccabili, ma per assomigliare sempre di più al Cristo. Questo percorso dell’umiltà mi propongo di approfondirlo, per poterlo attualizzare alle circostanze dell mia vita, rispetto alla proposta di Benedetto.
7. Grazie. Ringrazio Dio per questo cammino che mi ha concesso di portare a compimento. Ringrazio per le persone che mi hanno accolto, per le belle persone con cui ho condiviso il cammino, per tutti coloro che mi hanno guardato o salutato con simpatia mentre passavo per paesi e stradine deserte. Ringrazio perché ogni giorno ho avuto acqua per dissetarmi, cibo per nutrirmi, forza sufficiente per compiere il cammino di quel giorno. Ringrazio perché ogni mattina mi è stata data la forza per affrontare il nuovo cammino. Ringrazio perché, nei momenti di fatica, non sono stato travolto dallo scoraggiamento, ma ho sempre trovato un aiuto esteriore o interiore. Ringrazio per la grande bellezza di cui ho potuto riempire occhi e cuore, perché i paesaggi, le situazioni, i volti delle persone sono state tante icone viventi che mi hanno richiamato all’autore della bellezza (cfr. Sap 13). Grazie per il tempo del riposo goduto, per la rigenerazione che si è realizzata in me. Grazie per la preghiera semplice, ma nutriente di questi giorni di pellegrinaggio.
Questi alcuni frutti che ora riesco a verificare. Come sempre, torno con lo zaino più pieno di quando sono partito, e torno per immergermi totalmente nella vita ordinaria, quella in cui si gioca la vera sfida. Il cammino è una parabola (o.una metafora) che ci deve aiutare a vivere la vita vera.