Alcune attenzioni
per la nostra rinascita dopo il Covid – 19
Nei giorni del distanziamento, caratterizzati anche dall’impossibilità di celebrare insieme la liturgia eucaristica e la Pasqua, molti hanno sentito riecheggiare le parole del profeta Daniele, che presenta la situazione di Israele durante il tempo dell’esilio in Babilonia:
Ora non abbiamo più né principe,
né capo, né profeta, né olocausto,
né sacrificio, né oblazione, né incenso,
né luogo per presentarti le primizie
e trovar misericordia. (Dn 3,38)
Tale somiglianza ha fatto ritenere ad alcuni commentatori, che si potesse ritrovare nell’esperienza dell’esilio babilonese un punto di riferimento utile per comprendere quanto eravamo chiamati a vivere nel nostro tempo.
In effetti, alcuni richiami hanno illuminato efficacemente quei giorni, riconoscendo alcune opportunità che ci venivano date, a partire dalla consapevolezza che la presenza del Signore si manifesta non nei luoghi del culto, ma lì dove si trova il suo popolo (così come ricorda anche il profeta Ezechiele – Cfr. cap 10), e che, se da una parte non potevamo accedere alla liturgia comunitaria, nelle nostre case potevamo vivere un ascolto attento della Parola e il sacrificio di lode, quello che il Signore ricerca veramente (Cfr Eb 13,15), alimentando così la nostra comunione con il Signore anche nel tempo del distanziamento.
Chi volesse approfondire questa riflessione può trovare utilissimi spunti nel bellissimo testo di Eloi Leclerc il popolo di dio nella notte (scaricabile in PDF).
Dall’esperienza dell’esilio babilonese, ci vengono dunque molti aiuti per vivere la nostra esperienza di fede. Ma potremmo chiederci: cosa è accaduto dopo l’Esilio? Possiamo ottenere qualche indicazione per la rinascita da ciò che Israele ha vissuto nel suo ritorno a Gerusalemme e nel territorio di Giuda?
La Bibbia ci presenta questo rientro come un’esperienza molto forte per coloro che hanno accolto l’invito a ritornare. Soprattutto nei testi di Esdra e Neemia ci viene narrata la ricostruzione del popolo intorno alla città di Gerusalemme, che doveva essere riedificata.
Bellissimo e molto conosciuto è il testo di Neemia al capitolo 8, che ci racconta della lettura del libro della Legge di fronte al popolo riunito, e come questo evento, oltre alla grande commozione, abbia rappresentato una vera riappropriazione di quelle che erano le fondamenta di quel popolo, consentendo la sua vera rinascita.
Gli studi storici su questa rinascita di Israele nel post esilio, mettono però in evidenza almeno tre importanti criticità, che a noi può essere molto utile considerare nella nostra ripartenza, per non incorrere nei medesimi errori.
La prima criticità che coinvolge il post-esilio è che solo un piccolo resto decide di ritornare nella terra di Israele. La grande maggioranza del popolo che era stato deportato decide di rimanere in Babilonia, essendosi accasato là e – di fatto – rinnegando la sua appartenenza al Popolo di Dio. Il tempo dell’esilio rappresenta una cesura importante per il popolo di Israele rispetto alle tradizioni antiche. Dall’esilio si ritorna solamente per una scelta consapevole, che coinvolge solamente poche persone. Nella Bibbia (per quello che mi risulta) non si trovano recriminazioni rispetto a che decide di rimanere in Babilonia. La storia del Popolo di Dio riparte con chi sceglie di tornare in Israele.
La seconda criticità che noi possiamo rilevare (con il senno di poi), è che la ricostruzione e il ritorno in Israele è guidato da un’idea forte di fedeltà all’Alleanza, che però genera una certa rigidità nell’impostazione delle cose, una rigidità incapace di riconoscere la realtà delle persone. Tale rigidità è difesa soprattutto dalla classe sacerdotale, che impone leggi molto rigide e intransigenti. Manca in questa rinascita un sogno condiviso con tutto il popolo, mancano dei profeti che aiutino a comprendere ciò che sta accadendo dentro un orizzonte di salvezza. Ciò che prevale è la volontà di rimanere fedeli ad un’idea di Alleanza che è vera, ma che da sola non risulta sufficiente.
Da questo ritorno nascerà la corrente del Giudaismo, che sopravviverà fino ai tempi di Gesù. Chi volesse approfondire questo aspetto può leggere l’introduzione al commento del libro di Rut scritto da Carlos Mester (Mesters – libro di rut scaricabile in PDF) oppure quanto riportato da Luca Mazzinghi nella sua “Storia del popolo d’Israele“.
La terza criticità è collegata alla precedente, ma possiede una sua peculiarità. L’esperienza dell’Esilio, per Israele, è stata indubbiamente un’esperienza dolorosa, ma anche un’esperienza estremamente ricca per il contatto con la straordinaria cultura del popolo di Babilonia. Di tutta questa esperienza di settant’anni non è rimasto nulla nel ritorno; tutto quanto è accaduto in quel tempo è stato censurato e rimosso come estraneo all’esperienza di Israele. Eppure il profeta Geremia aveva invitato gli esuli ad inserirsi dentro la realtà babilonese, impegnandosi per la crescita di quella realtà e portando un contributo fattivo (Cfr. Ger 29). Sono stati anni di sofferenza per la distanza da Gerusalemme (Cfr Sal 137), ma anche di grande benedizione per una presenza di Dio che non è venuta meno (come raccontano i libri di Ester e di Tobia).
Questa censura a me pare problematica, perché incapace di ricuperare quell’esperienza di condivisione come un arricchimento, pur in mezzo a tutta l’ambiguità che la cultura babilonese esprimeva, rispetto all’esperienza di Israele.
Nelle settimane passate ho provato ad approfondire questo passaggio della storia di Israele, perché mi sembrava interessante ricuperare delle piste da quello che il Popolo di Dio aveva vissuto nel tempo della sua rinascita post-esilica. Cercavo delle piste positive, ma sono emerse soprattutto delle criticità che ci possono ugualmente aiutare a prestare attenzione in questa fase che siamo chiamati a vivere.
Ancora il tempo dell’epidemia non è concluso, ma è diffuso il pensiero e la preoccupazione per il “dopo”. Come ripartiremo dipende molto da noi, dalle scelte che faremo, dallo stile che adotteremo, dalle attenzioni che guideranno il nostro agire.
La tentazione di chiudere la parentesi (come dice il Vescovo Derio nel suo libro scritto a più mani) è molto forte. Abbiamo invece la possibilità di cogliere quanto è avvenuto come un’opportunità che – pur dolorosamente – ci è stata messa a disposizione.
A noi la sfida.
Chi lo desiderasse può approfondire anche il percorso che ho proposto e sviluppato in un itinerario di catechesi sui racconti biblici del diluvio (Gen 6-9): Il diluvio e l’arcobaleno.
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