La croce non è un elemento di arredo
Il venerdì santo pone al centro della nostra attenzione la Croce del Signore.
Nella liturgia di questo giorno si canta in modo solenne: “Ecco il legno della croce al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo. Venite, adoriamo!“, e si invita la gente a venire per adorare la croce, baciando la sua immagine.
Quest’anno non sarà possibile per noi compiere questo solenne rito, ma la croce non è estranea ai luoghi in cui abitiamo e lavoriamo. Purtroppo – spesso – essa è ridotta ad un elemento di arredo, ma oggi dobbiamo e vogliamo metterla in evidenza, dobbiamo e vogliamo riprenderla in mano e possiamo baciarla in segno di adorazione.
Oggi siamo chiamati a rivolgere il nostro sguardo alla croce, a stare davanti al suo mistero di orrore e di amore, di violenza e di gratuità, di peccato e di perdono.
Per noi cristiani la croce è un segno importante che, prima di distinguerci dagli altri, magari anche in opposizione agli altri, dovrebbe caratterizzare la nostra vita.
Tutto quello che la croce rappresenta, quell’amore, quella disponibilità al perdono, quel farsi carico del male, quell’offerta della propria vita … tutta quella parte narrata dal Vangelo con dovizia di particolari, dovrebbe essere riconoscibile in noi, nella nostra vita, nelle nostre scelte, anche se, paradossalmente, nel mondo non ci fosse più la possibilità di esporre alcuna immagine della Croce.
Alcuni cristiani e cristiane nella storia della Chiesa – penso in particolare a san Francesco e a San Pio da Pietrelcina – hanno ricevuto la “terribile grazia” di portare sul proprio corpo le ferite della Croce.
A noi probabilmente questa “terribile grazia” non sarà concessa ne’ richiesta, ma ugualmente, nella nostra vita, la Croce dovrebbe essere ben riconoscibile.
In questo giorno, in cui ci è sottratto il rito del bacio della Croce, svolto insieme alla comunità, possiamo riflettere e verificare quanto della Croce è impresso nella nostra vita; quanto è riconoscibile nel nostro modo di vivere e di amare; quanto è riconoscibile nella nostra disponibilità a perdonare e quanto nella nostra disponibilità ad offrire la nostra vita perché altri vivano.
Questi giorni sono segnati dalla morte e dal dolore per la malattia, l’angoscia, la solitudine, la precarietà, la difficoltà a trovare le risorse per vivere;… in tutto questo dolore però, arrivano quotidianamente spiragli di luce, nella testimonianza di persone che hanno offerto sé stesse, il proprio impegno, la propria professionalità, la propria fatica; che si sono messe a servizio dei più deboli, dei più poveri; che hanno rinunciato alla logica egoistica del “salva te stesso”, hanno rinunciato alla propria sicurezza e, alcuni di loro, offerto la propria vita perché altri potessero vivere e guarire.
Il mondo li chiama eroi o angeli, perché la loro vita risplende di tutta la luce che viene dal meglio dell’umanità; ma fra di loro ci sono uomini e donne, giovani e anziani che sono semplicemente discepoli di Gesù, che hanno accolto sulle loro spalle la Croce e hanno trasformato la loro vita in un dono d’amore, rispondendo a quell’invito che ci interpella tutti, ognuno secondo la propria vocazione: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,24-25).
Oggi, quando abbracciamo e baciamo la Croce, noi ricordiamo l’offerta della vita che Gesù ha fatto, ma vogliamo riconoscere anche tutte le vita autenticamente segnate dalla Croce di Gesù, tutte le vite di quei discepoli e di quelle discepole che hanno vissuto per amore facendo proprie le parole di Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,23-24).
Volgiamo lo sguardo alla Croce scopriamo il suo mistero di vita e di amore.