Giovedì santo: “Fate questo in memoria di me”

Dall’eucaristia alla vita eucaristica

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La sera del giovedì santo si apre il Triduo pasquale con il memoriale dell’ultima cena di Gesù. Quest’anno, come già detto ampiamente, non avremo la possibilità di partecipare a quella liturgia così coinvolgente, soprattutto per il gesto della lavanda dei piedi, ma non per questo non possiamo vivere quanto in questa giornata ci viene proposto.

C’è una “parola d’ordine” che oggi ci viene nuovamente consegnata da Gesù e si riferisce ai due gesti importanti che lui ha compiuto proprio nell’ultima cena: la lavanda dei piedi e i gesti dell’eucaristia.
In ambedue i casi Gesù ha detto ai discepoli “fate questo in memoria di me”.

Cosa voleva dire Gesù? Ci voleva indicare la strada per vivere nella nostra vita quello che nel rito dell’eucaristia celebriamo.

Mi sono chiesto allora come, in questo giorno memoriale della Pasqua eucaristica, noi possiamo vivere l’eucaristia senza il rito.
Mi sono detto: diventando noi eucaristia, vivendo una vita eucaristica.

La frase biblica che ispira questo percorso è presa dalla lettera ai Romani (12,1):
Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale“.
La proposta è semplice: noi che ci siamo cibati tante volte dell’eucaristia, oggi, ancora di più, dobbiamo diventare eucaristia, vivere la nostra vita in modo eucaristico: questo non ce lo può impedire nessuno e nessun virus.

Come fare?
Prendo come punto di riferimento il testo che abbiamo letto domenica scorsa (delle Palme) nella Passione secondo san Matteo (26,20-30).

1. Un contesto di tradimento
Non dobbiamo mai dimenticare che questo gesto importante di Gesù è vissuto in un contesto di tradimento. Uno dei suoi amici lo tradirà. Non siamo in un contesto armonico, ma piuttosto conflittuale. Non dobbiamo pretendere le circostanze ideali per vivere la nostra vita eucaristica, ma, in ogni circostanza, siamo chiamati a vivere il mandato di Gesù.

2. Gesù prese il pane 
Quel pane, come diciamo nella liturgia, è il frutto della terra e del lavoro dell’uomo.
Se quel pane è la mia vita, chiamata a diventare eucaristia, mi posso chiedere: come vedo la ma vita? è oggetto di benedizione da parte mia e di altri? di chi e di che cosa è frutto? posso prendere in mano la mia vita e benedire Dio? quale benedizione posso innalzare oggi a Dio per la mia vita?

3. Gesù rese grazie
E’ il gesto eucaristico per eccellenza. Se ho scoperto che la mia vita è degna di benedizione, se ho acquisito la consapevolezza di essere un dono, allora posso liberare la mia gratitudine. Rendere grazie sempre e in ogni luogo (non solo in chiesa e non solo durante la liturgia) è nostro dovere e fonte di salvezza, perché la gratitudine è l’atteggiamento che ci consente di riconoscere la presenza e l’azione di Dio nella nostra storia personale. 

4. Gesù spezzò il pane
Il pane per essere mangiato deve essere spezzato, non si può mangiare intero e non è cortese addentarlo.
Nella nostra fantasia noi sogniamo spesso grandi atti di donazione, come quelli che avvengono in alcuni momenti della nostra vita, quando pronunciamo grandi promesse che investono in modo importante la nostra esistenza nella sua interezza (il matrimonio, la consacrazione, l’ordinazione sacerdotale, un impegno professionale solenne, …).
Per vivere una vita eucaristica, devo invece essere disponibile a donarmi non solo in circostanze solenni, ma anche nella piccolezza delle situazioni quotidiane, altrimenti anche quelle grandi promesse non hanno valore e rimangono vuote. Per essere eucaristia ci viene chiesta una disponibilità ad essere spezzettati, a donarci per via di diffusione nella quotidianità e nelle situazioni particolari.

5. Gesù diede il pane
L’eucaristia si compie nel dono. Ciò che riconosciamo come un dono ricevuto, diviene a sua volta un bene donato e genera una vita nuova. La gratitudine matura nella gratuità. Il dono è la conseguenza naturale di una gratitudine che non si riduce a gratificazione narcisistica, ma che – in modo sano – diventa dono per altri.
In questo dono non c’è impoverimento perché, come afferma Gesù, si sperimenta che c’è più gioia nel dare, che nel ricevere. Se vivo un aumento della gioia, la mia vita diviene più ricca e più bella.

6. Comunione
La dinamica della gratitudine che matura in gratuità è la condizione per creare comunione. Come l’eucaristia crea comunione, anche noi la generiamo se viviamo una vita eucaristica, se viviamo in questo flusso generativo.

7. Profezia
Come l’eucaristia è caparra del Regno dei cieli che il Signore realizzerà alla fine dei tempi, così la mia vita vissuta secondo una dinamica eucaristica diviene profezia di ciò che il Signore ci invita a vivere nel Regno dei cieli e diviene attrattiva per tutti coloro che cercano un orizzonte ampio per vivere la propria vita.
Forse è proprio per questo che la prima comunità di Gerusalemme, ripiena dello Spirito Santo e immersa nella logica eucaristica (spezzavano il pane), godeva della simpatia del popolo e il Signore aggregava continuamente alla comunità nuove persone (Cfr At 2 e 4).

Oggi, giovedì santo 2020, moltissime persone non potranno partecipar all’eucaristia a causa delle restrizioni imposte dalla emergenza sanitaria, ma nessuno ci può impedire di vivere una vita eucaristica, accogliendo il mandato che Gesù rinnova per tutti noi: “fate questo in memoria di me“. 

Questi pensieri valgono sempre, non solo in tempi di emergenza.
Solo se la nostra vita diviene eucaristica l’eucaristia che riceviamo nella messa porta frutto in noi, e noi rispondiamo a quell’invito che Gesù ci rinnova in ogni celebrazione. Se questo non avviene noi rischiamo di vivere una grossa contraddizione e occorre comprendere quale ostacolo noi poniamo perché la nostra partecipazione alla messa sia piena e fruttuosa.

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

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