Ogni volta che leggo quel testo del libro dei Numeri (21,4-9), in cui si parla della vicenda dei serpenti che attaccano l’accampamento degli israeliti come punizione per la ribellione del popolo alla fatica del viaggio, mi sembra di doverlo comprendere da capo. E’ un testo misterioso che non lascia in pace e non da pace. E’ un testo che rimane sospeso, che provoca domande e non fornisce risposte. Non riesco a dire alla fine della lettura e dello studio: adesso ho compreso! Poi, quando lo vado a rileggere in un’altra occasione, mi sembra di dover tornare da capo.
Ma forse, ho pensato, questa è proprio la sua funzione: aprirci uno spazio di inquietudine perché noi possiamo cercare, metterci in cammino, nonostante la fatica che il cammino richiede.
Oggi mi sembra di poter dire che Dio richiama a sé il popolo attraverso l’evidenza delle conseguenze del peccato (la morte); Dio, da educatore, fa sperimentare cosa significhi, concretamente, allontanarsi da lui, abbandonare il cammino della libertà.
Dio ci educa attraverso il timore delle conseguenze.
Lo facciamo anche noi con i bambini più piccoli.
Di fronte ad un pericolo grave, per preservarli, arriviamo a minacciarli, infondiamo in loro un sano timore, perché non divengano vittime di una situazione pericolosa che si pone innanzi a loro. Così fa Dio con il popolo d’Israele che rischia di mettersi in pericolo: lo spaventa, gli mette davanti la minaccia mortale dell’allontanamento da lui.
Ma l’azione di Dio non si ferma qui.
Quando arriva la pienezza del tempo, Dio manda il suo Figlio che, di fronte al peccato dell’uomo, decide di farsene carico e diventare lui pure un segno innalzato che, questa volta, non infonde timore per le conseguenze del peccato, ma rivela l’amore di Dio per l’uomo peccatore.
Sulla croce, innalzato da terra, crocifisso e divenuto peccato (come ci ha ricordato papa Francesco nella omelia della messa di questa mattina), Dio ci rivela la profondità del suo amore e porta a compimento la sua azione “educativa”: ci rivela quanto tiene a noi, quanto desidera custodire il legame con noi arrivando a farsi carico lui stesso, nella morte del Figlio, delle conseguenze del peccato.
San Paolo aveva ben compreso questo mistero, infatti ha scritto ai Corinzi:
E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione… Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio. (2Cor 5,19.21)
E ancora sempre Paolo ha scritto ai Colossesi:
Con lui (Cristo) Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. (Col 2,13-14)
Dio, da Padre, sa che non ci si può limitare al timore per educare alla relazione e al bene. Per questo motivo, per Cristo, con Cristo e in Cristo ha deciso di rivelarci il suo amore, innalzando sulla croce Gesù come un segno indelebile della sua alleanza con tutta l’umanità.
Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù profetizza questo segno, che sarà l’ultimo dei segni del Vangelo e quello che manifesterà pienamente la gloria del Figlio nell’ora stabilita.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. (Gv 3,14-17)
Ci stiamo preparando alla Pasqua, mistero di morte e di risurrezione, mistero di riconciliazione e di perdono, mistero di amore e manifestazione della nuova alleanza, pienezza dell’opera realizzata da Dio per tenere legata a sé l’umanità, perché l’uomo non metta mai in dubbio il desiderio profondo di Dio di vivere questa comunione con lui.
«Di null’altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati».
Antifona d’ingresso nella messa dell’esaltazione della Croce (14 settembre)