In silenzio! Per amore o per forza?

di Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli
Toscana Oggi – n. 12 / 29 marzo 2020

In questo tempo siamo tutti un po’ «monaci», non per scelta ma per necessità. Questa situazione così difficile e drammatica, che segna oggi la vita del nostro Paese e del mondo intero potrà avere un volto differente in base al modo in cui la sapremo attraversare. Essa certamente ci costringe ad andare all’essenziale, a ciò che forse nel ritmo quotidiano della vita, a volte frenetico, abbiamo perso. Tutto acquista un colore diverso in base a come viviamo: se «per forza» o «per amore». Tutto ciò che viviamo «per forza» ci incupisce, ci fa chiudere nel risentimento e ci toglie il respiro; tutto ciò che facciamo «per amore» ci fa crescere e ci educa per una vita più piena e più bella.
Uno degli elementi essenziali della vita che questo «monachesimo forzato» ci fa riscoprire è il silenzio. Anche il silenzio può essere vissuto «per forza». Allora è «isolamento». In questo caso noi cerchiamo necessariamente delle vie di fuga: il cellulare sempre in mano, messaggi a non finire – magari anche senza contenuto -, la televisione, dirette streaming religiose e non… Un gran numero di «rumori» per mettere a tacere il silenzio, «chiasso» per evitare il raccoglimento. Ma se lo viviamo «per amore», allora la ricoperta dell’esperienza del silenzio può diventare «umanizzante», può farci ritrovare l’importanza di questo ingrediente indispensabile alla vita. Allora il silenzio può essere vissuto come linguaggio dell’amore, della fede e della speranza.
Innanzitutto, il silenzio è il linguaggio dell’amore. Non ci pensiamo mai abbastanza, ma nelle relazioni più vere e profonde le parole non servono e il silenzio può essere quella esperienza umana, ancor prima che cristiana, che ci fa riscoprire la verità più profonda dei nostri rapporti umani. Due persone che si amano non hanno bisogno di dirsi tante parole, comunicano con il silenzio del corpo, dello sguardo, dei gesti. Vivere «per amore» questo tempo di silenzio ci potrebbe aiutare a riscoprire le nostre relazioni più importanti: la famiglia, le amicizie, la comunità… Il silenzio vissuto per amore diventa una educazione alla relazione. Compagna del silenzio è la solitudine. Esiste una solitudine che non è isolamento, ma capacità di entrare in noi stessi in vista di relazioni più autentiche. Chi non sa rimanere da solo, non sa stare nemmeno veramente con gli altri. Questo ci insegna anche la tradizione monastica. La solitudine, che in questi giorni viviamo per necessità, può essere una occasione formidabile per ripensare alle nostre relazioni.
In secondo luogo, il silenzio vissuto «per amore» può essere il linguaggio della fede. Paolo afferma che «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (Rm 10,17). Non c’è ascolto senza la capacità di fare silenzio. Oggi viviamo l’esperienza di un silenzio estremamente difficile. Siamo talmente disabituati a vivere il silenzio, che quando le circostanze ci costringono a farlo, ci troviamo in difficoltà, quasi disarmati e senza strumenti. Questo tempo di deserto può essere un’occasione da non lasciar passare invano, seppure nata da una situazione di grande prova, per imparare a vivere quel silenzio che è l’ambiente necessario all’ascolto, da un punto di vita umano, degli altri, ma anche dal punto di vista della fede, di Dio e della sua Parola. Il silenzio è la palestra del cuore: ciò che lo allena ad accogliere quella Parola di vita che Dio rivolge oggi alla nostra esistenza. Il tempo di «deserto» e di «prova» che stiamo attraversando può diventare allora quella «terra benedetta» nella quale il seme della Parola di Dio porta frutto. Dal silenzio di questi giorni possiamo apprendere quell’arte del silenzio, famigliare alla tradizione spirituale, fondamentale al cammino di fede e alla vita ecclesiale.
Infine, il silenzio vissuto «per amore» può essere il linguaggio della speranza. Il silenzio è uno spazio vuoto, un grembo fecondo, una terra fertile, che ci proietta al futuro. In questi giorni siamo tentati dallo scoraggiamento, provati nella capacità di guardare al futuro con speranza. Pensiamo a tutte le conseguenze sociali, economiche e umane di tutto ciò che stiamo vivendo. Tutti si chiedono: «quando ne usciremo?». Sembra di sentire il grido dell’Apocalisse: «fino a quando, Signore!» (Ap 6,10). L’esperienza del silenzio, un po’ come quella corporea del digiuno, ci apre invece al futuro: è quel vuoto che attende di essere riempito; quello spazio accogliente che si fa ospitale. Noi abbiamo paura del vuoto – l’horror vacui – e siamo spaventati dal silenzio. Tuttavia, l’esperienza del vuoto, che il silenzio rappresenta, rimanda all’attesa di Dio come fondamento della nostra speranza. È l’esperienza di Elia sull’Oreb. Egli incontra Dio non in fenomeni «rumorosi» e «grandiosi» – il vento, il fuoco e il terremoto – bensì in «una voce di silenzio sottile» (1Re 19,12). Nel sussurro del tenue silenzio di questi giorni possiamo riconoscere la presenza di Dio, che apre al futuro e alla speranza.
Ecco quanto questi giorni di silenzio, non cercato ma accolto, possono dirci come esseri umani e come credenti: possono essere una pedagogia del silenzio vissuto non «per forza», ma «per amore». Spesso nella vita le cose non «programmate» sono quelle più decisive. Anche riguardo al silenzio come linguaggio dell’amore, della fede e della speranza, i giorni del coronavirus possono diventare un’occasione per «trasfigurare» nell’amore ciò che rischiamo di vivere unicamente per forza.

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

3 pensieri riguardo “In silenzio! Per amore o per forza?

  1. Grazie don Andrea per queste bellissime parole di speranza… Scusa se rispondo privatamente al tuo articolo, volevo chiederti come stai e dirti che ti siamo vicinri  nella nostra preghiera domestica, che abbiamo riscoperto come famiglia in questi tempi difficili. Un caro saluto, pregando e sperando di rivederci presto a Santarcangelo! Marco Boero e famiglia.

I commenti sono chiusi.

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