Da Avvenire del 12/02/2020
Arianna, 23 anni, da Riccione al Libano «Nel campo profughi vive la speranza»
GIORGIO PAOLUCCI
«Qui ho imparato sul campo il valore della condivisione, della sofferenza, ho capito cosa significa che la vita è qualcosa di irriducibile, e che la speranza non muore mai. È una vera scuola di vita». Arianna Valentini, 23 anni, tornerà tra pochi giorni a Riccione dopo tre mesi di permanenza al campo profughi di Tel Abbas, nella regione libanese dell’Akkar, 5 chilometri dal confine con la Siria. Sta concludendo la sua terza esperienza in quattro anni come volontaria dell’Operazione Colomba, il corpo non violento di pace promosso dall’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi.
Insieme ad altri volontari ha condiviso per mesi la vita delle famiglie fuggite dagli orrori della guerra in Siria e che hanno trovato un riparo precario in un accampamento di baracche. È una condivisione elementare, fatta di accompagnamenti in ospedale di chi ha bisogno di cure oppure presso gli uffici delle Nazioni Unite, evitando che i profughi vengano fermati (e a volte arrestati) ai check-point dalla polizia libanese, di compagnia alle famiglie, di collaborazione con il progetto dei corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Chiesa Valdese, grazie al quale alcuni nuclei familiari hanno potuto raggiungere l’Italia in condizioni di sicurezza, evitando i rischi mortali delle traversate in mare.
Arianna è arrivata a Tel Abbas per la prima volta nel 2017, quando era studentessa di mediazione linguistica alla scuola per interpreti e traduttori di Trieste, dove studiava anche l’arabo, affascinata dalla testimonianza di un’amica partita l’anno prima per il Libano.«Incontrando la sofferenza di questa gente, ho imparato cosa significa accogliere le difficoltà dell’altro creando anzitutto uno spazio di accoglienza dentro di me – racconta al telefono da Tel Abbas –. Ho dovuto mettere alla prova la consistenza della mia fede cristiana e ho scoperto quanto essa può arricchire la mia umanità e diventare fonte di speranza per chi è comprensibilmente tentato dalla disperazione e dalla rabbia per una situazione di dolore e di ingiustizia, specie ora che sulla Siria è di nuovo calato il silenzio dei media. Ho imparato a condividere questa scelta con la mia comunità parrocchiale di Riccione e con il mio gruppo scout, con il desiderio di testimoniare il cambiamento che si è generato nella mia vita perché possa diventare contagioso per altri giovani».
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Con l’associazione Papa Giovanni XXIII accanto alle famiglie siriane che soffrono