“Gesto interrotto“: fino a venerdì scorso non avevo mai sentito questa espressione che, invece, ho imparato essere comune in ambito pedagogico. Mentre ascoltavo Letizia, venuta a parlare alla nostra comunità capi di autoeducazione per i bambini di fascia 8-11 anni (lupetti e coccinelle), ad un certo punto è emerso nella sua esposizione questo concetto che, subito mi ha affascinato, introducendomi in una modalità relazionale che mi interpella. Nel (poco) tempo libero di questi giorni, ho navigato per capirne di più.
Per gli altri due viventi in Italia, che, come me, non sanno di cosa si tratti, riporto questa definizione: «Il prof. Andrea Canevaro parla di gesto interrotto per connotare il rapporto che, partendo dalla dipendenza, lascia spazio all’autonomia. “Il nostro gesto interrotto implica l’attesa di un completamento originale da parte dell’altro, implica una scelta.. che può essere assai diversa da quella che avevamo in mente…è l’accettazione dei limiti della propria azione. E’ il contrario del “fare al posto dell’altro per piccolo che sia”»
(http://www.istruzioneinfanzia.ra.it/content/download/128988/1565385/file/progetto ).
Proprio come nell’immagine che apre questa riflessione: una mano aperta che si lascia afferrare lasciando al piccolo la libertà di decidere come afferrare quella mano grande.
Pensando, mi è ritornato alla mente uno dei tanti “gesti interrotti” che sono raccontati nel Vangelo, quello che narra l’incontro e la guarigione di Bartimeo, il cieco di Gerico:
“E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!“. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada” (Mc 10,46-52).
Mi ha sempre colpito che Gesù non vada da Bartiméo, nonostante questo sia cieco, ma lo chiama perché sia lui ad andare da Gesù, balzando in piedi, lasciando il suo mantello (atto di totale fiducia in Gesù) e venendo incontro al Signore. E’ straordinario lo spazio di libertà e di creatività che Gesù lascia a Bartiméo, consentendogli di esprimere in modo ancora più concreto la sua fede e la gioia di quella chiamata.
Interessante! Penso che sia questo il vero senso dell'”e-ducare”, che significa letteralmente “tirare fuori” e non “mettere dentro” come comunemente si crede… Tirare fuori le aspirazioni, i talenti, i desideri dei bambini e dei ragazzi, perché scelgano e seguano la loro strada, e non mettere dentro i nostri, quelli di genitori, insegnanti, catechisti, allenatori…, nella speranza che qualcun altro realizzi i nostri sogni infranti!