Chiesa e denaro.
Un tema ritornato nuovamente alla ribalta per la prossima pubblicazione di un libro che annuncia grandi e scandalose rivelazioni. Su “Avvenire” di oggi (22 ottobre 2019) mons. Galantino spiega come stanno le cose, ma non credo che saranno molti a credergli.
Nella realtà i nostri bilanci di gestione sono in rosso; molte parrocchie non riescono più a coprire le spese per le utenze, figuriamoci quelle per la manutenzione …
Conosco dei preti che rinunciano alla parte di stipendio che dovrebbero avere dalla loro parrocchia perché la comunità non è in grado di sostenere quella spesa (seppure piccola); altri sacerdoti pagano di tasca loro le utenze della parrocchia, pur di non chiedere denaro alla gente: si vergognano, hanno timore del giudizio delle persone.
Ogni anno pubblichiamo il bilancio della parrocchia, ci rendiamo disponibili a parlarne a partire da quei numeri che dicono della nostra realtà economica; abbiamo da tempo persone della comunità che condividono con noi la gestione economica, ma pochi credono alla verità di quanto è scritto e sono disponibili a parlarne e a confrontarsi seriamente. Alcune persone generose intervengono periodicamente, ma la stragrande maggioranza si sente esonerata dal sostenere la comunità cristiana e reagisce con fastidio ad ogni proposta di partecipazione e contribuzione.
Faccio solo alcuni esempi.
Durante la messa c’è un gesto antichissimo che coinvolge tutta la comunità: la colletta. Alcune volte nell’anno essa è destinata a necessità della Chiesa universale (missioni, seminario, carità del papa); normalmente essa diviene un gesto di partecipazione alle necessità della comunità: è un gesto di comunione che dovrebbe consentire a tutti, in modo semplice, di coinvolgersi per le necessità comuni, proprio mentre si celebra la messa. Questo gesto, per la maggioranza dei cristiani anche praticanti, ha perso ogni significato.
Invito buttare l’occhio nei cestini delle offerte alla fine della messa: sono il risultato dello svuota-tasche con molte monete da 1 e 2 centesimi, monete che non avremmo il coraggio di dare in elemosina ad un povero che ci chiede la carità, ma che possiamo indifferentemente scaricare nel cestino della messa.
Non è una questione di importi (vale sempre la regola dei due spiccioli della vedova), ma del senso di un gesto: non ha più alcun significato per la maggior parte della gente; non coinvolge la vita delle persone e delle famiglie; è un gesto meccanico che si fa per togliersi un pensiero… non viene in mente che in quell’occasione ci può rendere partecipi di quanto la comunità vive e sostiene anche in modo ordinario.
Durante i funerali c’è la tradizione di raccogliere offerte in memoria dei defunti.
Sono sempre più le famiglie (più del 50%) che, nell’occasione del funerale fanno intervenire associazioni di vario tipo perché – ci confidano – vogliono cogliere l’opportunità per fare beneficenza e sostenere questa o l’altra realtà. Tutto bene, per carità, ma è evidente che a non tutti viene in mente che si possa fare beneficenza anche alla parrocchia per sostenerla nel suo impegno educativo, nell’impegno per i poveri, nel mantenimento decoroso delle strutture.
Chi ci ha preceduto ci ha lasciato in eredità delle strutture che, normalmente, servono alla vita della comunità. Poi accade qualche volta che qualcuno si impegni in una iniziativa di beneficenza, che nulla ha a che fare con la comunità cristiana, e chieda l’utilizzo gratuito delle strutture, come se a noi non costassero nulla in manutenzione, pulizie, utenze… e si meravigliano molto quando richiediamo un rimborso spese. La gente non capisce; ci ritiene insensibili, incapaci di renderci partecipi del loro impegno. Facciamo spesso una brutta figura. Ma come fare per aiutare a capire?
E’ molto difficile parlare di queste cose!
Si ha paura di allontanare le persone.
Si rimanda la soluzione dei problemi, si lasciano decadere le strutture perché si ha timore di creare situazioni di tensione…
Io stesso, mentre scrivo, sono indeciso se pubblicare questo testo che da molto tempo sta covando nella memoria del mio PC.
E invece è urgente parlarne!
Le soluzioni che spesso in alcune comunità vengono invocate (vi aiuterà la Diocesi! vi aiuterà il Vaticano!) sono fantasiose: la Diocesi, come è stato dichiarato pubblicamente più volte, ha una situazione debitoria molto importante e il Vaticano non ha competenza per la vita delle nostre comunità, soprattutto perché ci troviamo in quella parte del mondo che, nonostante tutto, è ancora la più ricca.
Presto dovremo fare delle scelte per ridurre le nostre spese; dovremo abbandonare delle strutture che abbiamo utilizzato per molto tempo, perché non abbiamo il denaro per sostenerle e per fare le necessarie manutenzioni; dovremo cercare un profilo più sostenibile, a partire dalle risorse che effettivamente abbiamo, non quelle che, teoricamente, vorremmo avere. Sarà un processo che ci farà bene, ci renderà più leggeri, che ci chiederà coraggio e sapienza; un processo che dovremo fare insieme alle nostre comunità, coinvolgendo la gente in quelle scelte.
Ma dovremo anche educare le persone, soprattutto quelle che si sentono effettivamente partecipi, a contribuire economicamente e in modo significativo perché la vita della comunità, come quella di una famiglia, dipende un po’ anche da questo.
E’ necessario cominciare a parlare e condividere le scelte per la gestione economica delle nostre parrocchie. Con questa riflessione vorrei dire che per parte nostra siamo disponibili, anzi desiderosi di farlo. A coloro che fanno parte delle nostre comunità chiediamo di aiutarci per comprendere come condividere questa preoccupazione e le scelte che ci attendono.
Per il resto, ognuno si comporti in coscienza come meglio ritiene.
Leggo questa tua riflessione poche ore dopo essermi interrogata anche io sulla stessa questione dopo aver letto a pranzo un altro articolo pubblicato oggi sul Carlino di Rimini: la mensa dei frati cappuccini di Santo Spirito rischia di chiudere, non per mancanza di volontari o di cibo (che per lo più viene regalato da supermercati e altri…), ma per carenza dei soldi necessari a pagare luce, riscaldamento, tasse varie… Questo in particolare dopo che le fondazioni di due banche riminesi hanno cessato il loro sostanzioso contributo che ammontava a circa 20.000 euro ciascuna, e anche le offerte dei fedeli sono in calo…
Sono del parere che è importante salvare la mensa a cui tanti a Rimini si rivolgono, ma mi sono chiesta se e’ giusto che queste strutture si reggano prevalentemente con i soldi erogati dalle banche (che a loro volta sono in crisi per cui elargizioni liberali non ne fanno più, e aprire mutui o finanziamenti finisce per diventare oneroso e spesso insostenibile).
Ma allora come fare? Come dici tu, Andrea, dobbiamo trovare il coraggio di confrontarci e discuterne, anche pensando a soluzioni drastiche come l’alienazione di immobili non utilizzati o troppo dispendiosi, la vendita di gioielli donati come ex voto e di altri oggetti di valore… Forse la Chiesa povera per i poveri passa anche da questo, penso a Paolo VI che vendette il Triregno, ai tanti furti che avvengono ormai anche in tante chiese e conventi… E non posso non ricordare che san Francesco non voleva assolutamente che i frati possedessero case, tanto e’ vero che quando gliene regalarono una salì sul tetto a buttare giù le tegole per manifestare la sua disapprovazione! Sapeva già come sarebbe finita…ma forse come dici tu, e’ forse giunto il momento di un'”alleggerimento” che sia anche una purificazione, se e’ vero che quello che scandalizza molti fedeli sono i superattici dei cardinali, i conti milionari presso lo Ior, il profluvio d’oro in certe chiese…