La tentazione del Reset

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Da quando esistono i computer, abbiamo imparato ad utilizzare un tasto che, in situazione di emergenza, risulta di fondamentale importanza.
Se il sistema operativo si impalla, per ragioni che ai comuni utilizzatori degli apparati rimangono sconosciute, si ha la possibilità di spingere il tasto di reset, presente in tutti i dispositivi; il sistema si riavvia e si può ripartire a lavorare tranquillamente. Forse qualche parte del lavoro è stata perduta, forse la memoria digitale non ha conservato proprio tutto il lavoro svolto prima del blocco, ma, per lo meno, è possibile ricominciare.

Il tasto di reset, oltre che un dispositivo di emergenza per i nostri apparati elettronici, a me sembra sia divenuto un paradigma antropologico sempre più condiviso: quando qualche “sistema” si impalla, sia a livello personale, che a livello famigliare o a livello sociale, invece che affrontare con responsabilità i problemi, a partire dalla realtà che si ha di fronte, considerando i suoi limiti e le sue potenzialità, molti vanno alla ricerca del tasto di reset, per riavviare il sistema e ripartire con una situazione nuova, magari avendo perso qualche pezzo (danni collaterali), ma con infinite nuove possibilità.

Questo approccio lo riconosco nella vita di tante persone – soprattutto adulte – che, di fronte a situazioni problematiche inerenti il lavoro, le relazioni di coppia o famigliari, le relazioni amicali, … hanno la presunzione (illusione?) di poter sempre ripartire da capo, senza essere influenzate da quanto era accaduto prima, o minimizzando gli elementi di responsabilità derivanti dalla loro storia.

Anche a livello sociale mi sembra che questa illusione sia piuttosto diffusa. Ogni tanto invochiamo un evento rinnovatore (un nuovo leader, delle nuove elezioni…) che ci faccia sperimentare un reset della situazione problematica e ci metta nelle condizioni per ricominciare da capo, senza il peso delle problematicità precedenti. Al netto delle strategie politiche che coinvolgono i partiti in questi ultimi giorni (tutte lecite e degne di attenzione), di cui non mi voglio assolutamente occupare in questa riflessione, mi sembra di riconoscere che la tentazione del reset, sul piano culturale e spirituale, sia una tentazione da cui guardarsi.
La realtà che ci sta di fronte, anche quando non corrisponde alle nostre idee, chiede sempre di essere accolta e riconosciuta con i suoi limiti e le sue potenzialità; chiede di essere analizzata e – attraverso un attento processo di discernimento, che aiuti a riconoscere le priorità e il maggior bene possibile in una determinata situazione – provoca a delle scelte che interpellano la responsabilità dei singoli e dei corpi sociali (Chiesa compresa).

La realtà, in tutte le sue dimensioni, non è un apparato elettronico che possiede un tasto  di reset, ma un sistema che chiede di essere accolto, compreso e orientato, mettendo in gioco la nostra intelligenza, il nostro amore (sinonimo di responsabilità) e la nostra volontà, per comprendere quale bene possiamo costruire a breve, medio e lungo termine.

Se esiste un cambiamento efficace e un rinnovamento significativo, questo lo possiamo compiere dentro di noi, attraverso un percorso di conversione che è nel segno di una sempre maggiore adesione al bene. Un tasto di reset non è previsto.

Due testi mi hanno aiutato in questa riflessione:
Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele:
«Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza,
nell’abbandono confidente sta la vostra forza».
Ma voi non avete voluto,
anzi avete detto: «No, noi fuggiremo su cavalli».
Ebbene, fuggite! 
«Cavalcheremo su destrieri veloci».
Ebbene, più veloci saranno i vostri inseguitori. (Is 30,15-16)

Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza“. (Evangelii gaudium, n. 231)

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

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