Il terzo appuntamento del ciclo “Bene comune e pace sociale in Evangelii gaudium”, come previsto, ha visto la presenza del prof. Marco Cangiotti, docente ordinario di filosofia politica dell’Università di Urbino, direttore del Dipartimento di Economia, Società, Politica della medesima Università e presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro. Ad un amico filosofo esperto abbiamo affidato la riflessione su questa affermazione immediatamente affascinante dell’Evangelii Gaudium perché potessimo comprenderne la portata e la provocazione.
Per chi lo desidera è possibile ascoltare la registrazione dell’intervento del prof. Cangiotti. Segue una mia sintesi dell’incontro; chiedo scusa in anticipo per lo schematismo della sintesi, ma non è stato facile data la densità dei contenuti. Ho messo a disposizione appositamente la registrazione perché non è sostituibile da nessuna sintesi.
Papa Francesco si esprime così: “La realtà è più importante dell’idea: Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora“.
Questa affermazione, che appare semplice nella sua formulazione immediata ed evidente nella sua comprensione (perché ognuno comprende che un pezzo di pane sfama di più dell’idea di una cena sontuosa), si apre alla possibilità di una lettura più profonda, addirittura una lettura teologica. La distinzione tra la realtà e l’idea si pone al livello della distinzione tra ciò che è divino e ciò che è umano. Solo Dio infatti è Creatore; solo Lui ha il potere di porre l’essere dal nulla. Quando Dio agisce, qualcosa che prima non c’era comincia ad esistere e quella realtà è data a sé stessa e a tutta la creazione pre-esistente. Quando il Papa afferma che “la realtà semplicemente è“, ci dice che la realtà appartiene a Dio, che è l’unico che ha il potere di porre in atto l’essere. Aderire alla realtà significa sempre, indipendentemente dalla coscienza che se ne può avere, aderire a Dio.
Ma anche l’uomo agisce; e l’atto dell’uomo, che non è creativo, appartiene alla elaborazione (al lavoro tipico dell’uomo). Il lavoro non crea, ma trasforma qualcosa che è dato precedentemente. La realtà ha il primato sull’idea perché l’idea elabora ciò che è dato nella realtà. Il lavoro viene sempre dopo la realtà.
Cosa c’entra questo con la vita sociale? Come ci aiuta?
La Polis, la società umana, è caratterizzata dal “lavoro” dell’uomo; della elaborazione dell’uomo essa è il frutto. In essa si riflette la coscienza che l’uomo ha di sé stesso; è come un uomo in grande. Il carattere della polis è il carattere dei cittadini e viceversa; la polis dipende dalla coscienza che l’uomo ha di sé stesso.
La politica dunque dipende sempre dalla antropologia. Il problema è che oggi noi siamo in una situazione critica proprio su questo elemento antropologico. Siamo in una situazione di passaggio, in un cambiamento di epoca, come dice papa Francesco.
Qual è la coscienza degli uomini oggi?
Papa Francesco ci dice che possiamo rispondere a questa domanda fondamentale se ci poniamo la domanda sulla consapevolezza che gli uomini di oggi hanno circa la differenza tra l’atto di Dio e l’atto del’uomo, tra l’atto creativo e l’atto elaborativo, tra la realtà e l’idea. Questo è il problema fondamentale!
Se accettiamo di porci questa domanda, però, ci poniamo di fronte ad una situazione inquietante data dalla relazione che oggi viviamo con la tecnica, della quale siamo ubriacati al punto che condiziona la nostra consapevolezza.
La tecnica, infatti, rappresenta il vertice che porta all’estremo limite la capacità di elaborazione e la potenza dell’uomo. Come concepiamo la tecnica e la tecnologia? Questa è una questione centrale: attraverso lo sviluppo irrinunciabile e meraviglioso della tecnologia, l’uomo rischia di smarrire la consapevolezza della verità che la realtà sia superiore all’idea.
L’esempio di come funziona la tecnica e delle conseguenze che pone in atto può essere analizzato nel suo sviluppo più semplice, quello del lavoro di un artigiano che deve realizzare una sedia. L’artigiano parte con un’idea che diviene un progetto, comprendente l’idea della sedia da realizzare e il procedimento da seguire per la realizzazione. Ma l’idea, il progetto, la conoscenza del procedimento da soli non bastano per realizzare la sedia. Ad un certo punto sarà necessario ricorrere alla materia che è data precedentemente, perché l’artigiano non ha creato il legno necessario per la fabbricazione della sedia che ha ideato; quel legno poi, non rappresenta una materia inerte, ma una realtà con una sua identità (apparteneva all’albero), una sua forma (in senso filosofico) a cui è stato strappato violentemente attraverso il procedimento necessario per l’elaborazione dell’idea. Il fabbricatore, l’elaboratore, si manifesta sempre come un dominatore della realtà che già esiste per piegarla (elaborarla) al proprio progetto. Il processo tecnico possiede sempre queste tre caratteristiche: progetto – possesso – violazione; inoltre unico è il soggetto che esercita la sua libertà (l’elaboratore), mentre le altre identità sono ridotte ad oggetto.
Finché si tratta del legno, del ferro o di qualche altro materiale questo procedimento è accettabile e lecito; ma quando l’oggetto dell’elaborazione sono altri uomini?
Il problema della tecnica, che è buona per origine e per sviluppo, sta sempre nell’utilizzo che l’uomo ne fa; l’uomo avendo perso l’orizzonte di orientamento, fa della tecnica la via per realizzare la sua felicità, per affermare sé stesso in una logica di autosufficienza e di libertà senza responsabilità, negando il principio fondamentale che la realtà sia superiore all’idea.
Nel contesto culturale attuale, avendo smarrito i punti di riferimento essenziale, vengono assolutizzati in modo narcisistico alcuni principi che divengono punto di riferimento per l’agire dell’uomo: il benessere materiale ereditato dalle generazioni passate è acquisito in modo definitivo e non potrà essere messo in discussione; il progresso tecnologico è aperto ad uno sviluppo indefinito senza porsi il problema della sostenibilità… tutto a scapito della libertà di qualcuno, dei diritti di qualcuno e, in definitiva, della giustizia.
Chi minaccia tale presupposti, considerati essenziali per realizzare la felicità, viene considerato un nemico… e questo è il tempo dei tanti nemici: le banche, la casta, i burocrati d’Europa, gli immigrati, … tutte entità o persone che mettono in discussione i principi di riferimento narcisistico e che impediscono il raggiungimento del perfezionamento della elaborazione ideale che, altrimenti, avrebbe tutte le possibilità per essere realizzato portando alla felicità desiderata.
E’ la promessa di una felicità per via politica, prevalentemente individualistica, coincidente spesso con ciò che fa comodo a me, senza alcun bisogno di confronto democratico con gli altri.
Come in ogni situazione narcisistica, ci troviamo di fronte ad una grave distorsione della realtà, ad un’incapacità soggettiva e collettiva di saper distinguere l’oggettivo dal soggettivo e la realtà dall’idea. L’io individuale diviene il metro di misura del tutto, con il risultato di un inappagamento cronico e un’insoddisfazione che si manifesta sempre più di frequente in rabbia.
Quali vie per ricuperare il principio sano enunciato da Evangelii gaudium?
1- Limitare e circoscrivere il più possibile la mentalità narcisistica da cui tutti siamo affetti alla sfera privata, impedendole di contagiare la sfera pubblica. E’ la responsabilità di ognuno.
2- Iniziare noi a restaurare le ragioni della realtà e dell’ordine oggettivo attraverso la via della testimonianza che, per definizione, è radicata nella realtà e conduce al confronto con la realtà nella sua concretezza; assumere la testimonianza, più che l’idea, come regola per una vita buona.
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