In questa domenica, commemoriamo – come ogni anno – la figura di Rino Molari.
Ci ritroviamo alla Pieve, accanto alla sua casa natale, insieme ai famigliari e a tanti che lo riconoscono come un autentico testimone di fede, di impegno civile e democratico.
Quest’anno poi, subito dopo la messa, inaugureremo il nuovo monumento che ci consente di riportare in evidenza la lapide che ricorda Rino Molari, allargando il percorso di memoria della Resistenza, voluto dalla città e sostenuto fattivamente dall’ANPI di Santarcangelo.
Il vangelo di oggi mette sotto i nostri occhi il tema della compassione, un sentimento che ci viene testimoniato da Gesù nel suo porsi di fronte alla folla.
Dice il Vangelo: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34). Stiamo su questa frase così forte e ricca di spunti.
Cosa faceva Gesù su quella barca?
Era alla ricerca di un po’ di pace e di ristoro con i suoi discepoli che, tornati dalla missione, erano affaticati. Era un’esigenza giusta. Il vangelo dice che vivevano come assediati; non avevano neppure il tempo di prendere cibo. E’ Gesù stesso che decide di porre una distanza tra loro e la folla, per rispondere ad un’esigenza di ricentramento.
All’arrivo la folla li ha anticipati e Gesù la vede. Non gira gli occhi da un’altra parte. C’è una situazione che lo interpella, che li chiama all’incontro.
E’ vero: sono stanchi, hanno diritto al loro riposo, … ma la realtà è cambiata!
Gesù vede quella folla: i loro volti riempiono i suoi occhi.
Sarebbe interessante sapere cosa ha visto Rino Molari, cosa ha consentito che entrasse nel suo cuore, cosa è cambiato per lui quando ha scelto – seppur in modo nonviolento – di impegnarsi nella Resistenza.
C’è sempre qualcosa che scatta e spesso entra dai nostri occhi per colpire il nostro cuore.
E noi cosa vediamo?
Come siamo capaci di stare di fronte alla realtà di oggi e di vederla?
A cosa consentiamo di entrare nei nostri occhi e nel nostro cuore?
O siamo anche noi tra quelli che papa Francesco chiama gli indifferenti?
Gesù ha compassione di loro; li vede come pecore che non hanno pastore.
Quello sguardo genera un sentimento profondo. In quei volti Gesù riconosce un bisogno e lo vive interiormente.
La compassione non è un sentimento facile, non è un’emozione passeggera.
La compassione è la disponibilità a fare propri i dolori dell’altro senza difendersi, senza schermarsi.
La compassione sorge in noi quando lasciamo che il dolore, il bisogno, “la fame e la sete” dell’altro divenga anche il nostro dolore, il nostro bisogno, la nostra fame e sete.
La compassione nasce quando rinneghiamo in noi stessi il motto fascista “me ne frego” e assumiamo su di noi il motto di don Milani “I care” (mi interessa, mi sta a cuore, mi riguarda).
Oggi abbiamo bisogno di uomini e donne compassionevoli; ci sono troppi che inneggiano impunemente al menefreghismo. Siamo arrivati al paradosso che addirittura coloro che sono mossi a compassione vengono incriminati, calunniati sui social media, ritenuti nemici della Patria e del bene comune. Tante sono le energie spese in Italia e in Europa per alzare muri, per negare diritti, per affermare con voce sempre più arrogante la teoria del menefreghismo e per difenderci dalla compassione.
Cosa ci direbbe Rino Molari, morto a Fossoli il 12 luglio 1944?
Cosa ci direbbero tutti gli altri che sono morti perché il loro sacrificio potesse ottenere alle generazioni future un paese di uomini e donne liberi e umani, di uomini e donne compassionevoli e responsabili… cosa ci direbbero se venissero in mezzo a noi oggi? Dov’è la vostra compassione?
Dov’è la vostra capacità di sentire il dolore e il bisogno dell’altro?
Ma davvero vi siete ridotti che pensate solo a voi stessi?
Gesù si mise ad insegnare loro molte cose.
Chissà di cosa aveva bisogno tutta quella folla che era andata da Gesù?
Lui, per prima cosa, si mette ad insegnare loro molte cose.
A nessuno di noi sfugge che Rino Molari fosse un insegnante, un uomo di cultura, un filologo. Non so se esista una scienza meno funzionale della filologia, la scienza che studia le parole e la loro origine. Per Rino Molari quello è stato il percorso che gli ha insegnato a lasciarsi interpellare dalla realtà ed ad interpretare la realtà: a partire dalle parole.
La cultura è la capacità di saper interpretare la realtà con categorie non puramente funzionali (non solo a partire dai bisogni immediati), ma sapendo riconoscere le cause e le conseguenze di ciò che accade e di ciò che si mette in atto.
Far crescere la cultura, educare le persone ad essere libere e responsabili della loro vita e della realtà in cui vivono, è un grande atto di compassione.
Noi viviamo in un tempo di grande emergenza culturale in cui siamo tutti immersi, nessuno escluso.
La semplificazione del pensiero, il linguaggio binario delle macchine che ci esonera dalla fatica di una sintesi, la pigrizia indotta e coltivata, la svalutazione sistematica di ogni percorso di formazione che non abbia un’immediata ricaduta economica e remunerativa… senza considerare le condizioni in cui versa la nostra scuola, nonostante l’eroico impegno di tanti insegnanti ed educatori …
Don Milani diceva: «La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale. La distinzione in classi sociali non si può dunque fare sull’imponibile catastale, ma su valori culturali...»
In questo giorno in cui contempliamo la compassione di Gesù che lo muove all’insegnamento e ricordiamo l’impegno eroico di Rino Molari, vogliamo impegnarci ad essere persone compassionevoli; vogliamo rinnegare ogni atteggiamento menefreghista; vogliamo tradurre la nostra compassione in un impegno cristiano, civile e politico che incida fortemente sulla nostra cultura e che ci aiuti a riscoprire la passione per il bene comune, per la difesa della dignità e della libertà della persona, per la giustizia che riconosce i diritti di ogni uomo e ogni donna e – per costruire un mondo migliore – vogliamo dire la nostra disponibilità a sacrificare noi stessi, come coloro che ci hanno preceduto hanno fatto, nella speranza che il loro sangue potesse servire alla realizzazione di un mondo diverso da quello in cui loro si trovavano.
Il Signore ci conceda la fede, la compassione, la speranza e l’impegno.