Non ho mai conosciuto personalmente don Pino Puglisi. Mai avevo sentito parlare di lui, ma la sua vicenda mi ha investito direttamente perché il 16 settembre 1993 mi sono trovato provvidenzialmente in mezzo a tante persone che lo avevano conosciuto.
Quella mattina mi trovavo ad un convegno di animatori vocazionali a Roma, e don Italo Castellani, attualmente vescovo di Lucca, ha iniziato la messa comunicando che la sera prima don Pino era stato ucciso.
Ho visto intorno a me molti preti piangere: erano quelli che lo avevano conosciuto, che avevano lavorato con lui proprio nell’ambito dell’animazione vocazionale. Mi sono fatto raccontare di don Pino fin da quel giorno; poi ho voluto leggere e incontrare le persone che lo avevano conosciuto. Per tre volte sono stato a Brancaccio con dei giovani, per toccare con mano quella realtà, per immergermi nei luoghi in cui questo prete ha testimoniato il Vangelo, da prete e da parroco.
Ecco cosa ho capito di don Pino Puglisi e cosa custodisco nel cuore.
– Don Pino era un prete
Come tutti voi, ho conosciuto tanti preti nella mia vita e so che ci sono molti modi di essere prete. Don Pino era consapevole che essere prete significava, prima di tutto, farsi carico delle persone a cui il Signore ti manda, farsi carico da padre.
Noi usiamo con grande timidezza questo termine perché Gesù ci ha detto di non chiamare nessuno padre sulla terra, ma ognuno di noi sacerdoti sa che, per essere veramente prete, deve essere padre.
Chi è il padre? È colui che genera alla vita, che introduce alla realtà del mondo, che richiama alla verità delle cose; è colui che protegge e sa portare in braccio solo per il tempo necessario a riprendere le forze. Don Pino Puglisi era prima di tutto un padre: lo è stato per i suoi studenti; lo è stato per le persone che accompagnava spiritualmente; lo è stato per la gente di Brancaccio. Come un padre si è fatto carico di tutte le necessità di coloro che il Signore gli aveva affidato. Come un padre.
– Don Pino era un prete educatore
Questo termine oggi è un po’ abusato. È addirittura diventato una professione (con tutti i rischi del caso); lo diciamo con grande rispetto per i tanti educatori che si spendono con generosità e creatività.
Un educatore è fondamentalmente un guaritore: uno che – come Mosé – ti conduce dalla schiavitù alla libertà, che ti guarda con occhi di stupore vedendo tutto il bene che c’è dentro di te portandoti a riconoscere quel bene perché possa crescere giorno per giorno fino alla sua pienezza. Un educatore è uno che ti riconosce come un dono prezioso.
Dice padre Agostino Ziino, in una sua testimonianza: “Lì dove incontravi padre Puglisi, seppur immerso in attività pastorali di gruppo o in dialoghi personali o nella preparazione di incontri di catechesi o di preghiera, ti accoglieva sempre come tu fossi stato per lui un dono di Dio. E mai ti liquidava frettolosamente, proprio come se fosse lui a ricevere qualcosa da te, da te che andavi a lui soltanto per un breve saluto”.
– Don Pino era un prete animatore vocazionale
Questo termine è piuttosto sconosciuto ai più, anche all’interno della Chiesa. Molto dell’impegno educativo di don Pino si è svolto proprio nella pastorale vocazionale della diocesi di Palermo. Essere animatore vocazionale significa accompagnare ogni giovane o adulto che desidera vivere il Vangelo personalmente, nella grande avventura di ascoltare gli inviti che Dio ci rivolge e a tradurli in esperienza concreta e unica.
L’animatore vocazionale non vive un impegno generico, perché sa che per ogni persona Dio ha una proposta unica. Don Pino ha vissuto con questo sguardo, riconoscendo l’unicità di ogni persona che ha incontrato, fossero i suoi studenti del liceo classico Umberto I di Palermo o i seminaristi di Palermo o i ragazzi del quartiere dove faceva il parroco o le ragazze madri della case di accoglienza dove andava settimanalmente.
Per ogni persona c’è una chiamata alla vita. Ogni persona può divenire un dono per gli altri.
– Don Pino era un parroco “in uscita”
Don Pino non ha potuto vedere papa Francesco e non ha potuto ascoltare le parole che invitano la Chiesa ad uscire e a farsi ospedale da campo, ma credo che gli sarebbero piaciute. Senza peccare di anacronismo, possiamo dire che don Pino, come moltissimi altri preti, ha interpretato in anticipo il modello di Chiesa che papa Francesco sta proponendo nella sua riforma.
Dice Francesco Deliziosi, uno dei suoi studenti e – poi- suo biografo: “C’è innanzitutto da analizzare il motivo dello scontro tra la mafia e don Puglisi. Don Pino propone a Brancaccio un modello di prete che i boss non riconoscono, mentre si sono sempre mostrati pronti ad accettare e “rispettare” un sacerdote che sta in sacrestia, tutto casa e chiesa, promotore di processioni – magari al fianco dello “Zio Totò” di turno -, che “campa e fa campari”.
Padre Puglisi sceglie invece di uscire dalla sacrestia e di vivere fino in fondo i problemi, i rischi, le speranze della sua gente. Desidera in quanto parroco, la liberazione e la promozione del suo popolo.
Don Puglisi propone inoltre un nuovo modello di parrocchia. Tra le sue iniziative, ad esempio, c’era la richiesta di servizi e di una scuola media per Brancaccio. Fu un continuo pungolo per le istituzioni. Da qui una serie di manifestazioni, di contatti con lo Stato, di proteste civili.
Tutto questo avviene alla luce del sole, lontano dall’altare, con gesti che per la loro visibilità non passano inosservati: sono scelte ben precise e compiute con la consapevolezza del loro effetto dirompente sugli equilibri mafiosi. “Non dobbiamo tacere“, diceva don Pino ai parrocchiani più timorosi nei giorni delle minacce, degli attentati che preludevano all’agguato. E aggiungeva, citando San Paolo, “ se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?”.
Sono scelte che lasciano intravedere l’immagine di una Chiesa che ha deciso di essere “debole con i deboli”, di stare dalla parte degli ultimi, che crede nelle istituzioni, senza supplenze o logiche clientelari.
Senza supplenze perché la Chiesa non deve occupare spazi o compiti amministrativi che non le competono.
Senza logiche clientelari, ovvero senza prestarsi alle pressioni, alle richieste di raccomandazioni e di servitù al politico di turno (quando a Brancaccio arrivavano questi ultimi, don Pino li metteva alla porta insieme con i loro facsimili elettorali).
È questa di Padre Puglisi una chiesa, insomma, che si cala nella realtà del territorio e dei suoi bisogni: questo è il banco di prova di una testimonianza che vuole essere veramente evangelica.
– Don Pino, uomo del Padre nostro
Per noi il “Padre nostro” è solo una preghiera. Per don Pino era un programma di vita e un progetto educativo. Non è un caso che abbia voluto intitolare il centro parrocchiale “Centro Padre nostro” perché in questo insegnamento di Gesù sulla preghiera è rivelata tutta la dignità che noi siamo chiamati a riconoscere all’uomo chiamato ad essere figlio di Dio e non semplicemente un picciotto.
Famosa la sua parodia del “Padre nostro del picciotto”, scritta in dialetto perché si potesse usare il linguaggio del quartiere e potesse essere comprensibile la distanza tra le due logiche.
Padrino mio e della nostra famiglia,
tu sei uomo d’onore e di valore,
Il tuo nome lo devi fare rispettare
e tutti quanti ti dobbiamo obbedire:
quello che dici, ognuno lo deve fare
perché è legge se non vuole morire.
Tu ci sei padre che ci da pane
Pane e lavoro e non ti tiri indietro
Di ripulire un po’ chi possiede
Perché sai che i picciotti devono mangiare
Chi sbaglia lo sappiamo, deve pagare:
non perdonare, altrimenti sei infame
ed è infame chi parla e fa la spia;
questa è la legge di questa compagnia!
Mi raccomando a te, padrino mio,
liberami dagli sbirri a dalla questura
libera me e tutti i tuoi amici.
Sempre sarà così.
– Don Pino prete “beato” anche se non vincitore
La Chiesa ha detto una parola ufficiale su don Pino. Proclamandolo beato il 25 maggio 2013 ha riconosciuto in lui un autentico testimone del Vangelo, che ha dato la vita per essere fedele alla sua vocazione cristiana e al suo ministero di prete.
Per noi credenti non è un caso che questa serata si svolga nella vigilia della festa di tutti i Santi: la testimonianza di don Pino si inserisce in quel grande corteo di testimoni che fin dai primi passi della comunità cristiana sono stati chiamati a fare i conti con una parola del Vangelo esigente e difficile da accogliere.
Gesù lo aveva detto: “se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi” (Gv 15,18-21); ma anche detto ai suoi discepoli quello che ascolteremo domani nel vangelo della messa: “10 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi” (Mt 5,10-12).
Ci piacerebbe pensare che il sacrificio di don Pino sia stato il prezzo carissimo pagato perché le cose cambiassero, ma purtroppo non è così. Questa sarebbe una favola a lieto fine che ci piacerebbe venisse raccontata: la morte dell’eroe che converte e trasforma la realtà.
La realtà invece è che a Brancaccio i problemi sono – purtroppo – sempre gli stessi: i fratelli Graviano non dominano più, ma sicuramente altri hanno preso il loro posto; Grigoli e Spatuzza si sono pentiti, ma quanti ne hanno preso il posto?
Cosa rimane? Cosa conta?
Rimane la testimonianza di un uomo, un cristiano, un prete, che ha firmato con il sangue il suo impegno e che ancora oggi rivolge a noi, che abitiamo in ogni latitudine della Terra, l’invito che rappresenta il suo motto: “se ognuno fa qualcosa, insieme possiamo fare molto”.
Il testimone passa a noi: la testimonianza di don Pino Puglisi sia un stimolo per noi per fare molto, insieme, lì dove siamo.
Tu don Pino, prega per noi!
don Andrea Turchini
Questo testo è stato proposto a margine dello spettacolo teatrale organizzato dal Comune di Santarcangelo (che ringrazio per la gentilezza) sulla figura di don Pino Puglisi. Lo condivido.