Incontro di formazione con i Catechisti – Educatori della diocesi di Faenza-Modigliana
TRE PREMESSE
Figli si nasce… e si diventa
Dal punto di vista naturale non si è figli semplicemente perché si è ricevuta la vita. Fisiologicamente questo avviene perché un uomo e una donna concepiscono dalla loro unione una nuova vita. Dal punto di vista fisiologico noi nasciamo figli, ma, per essere veramente tali, abbiamo bisogno di essere riconosciuti e generati dall’amore e dalla cura dei nostri genitori o di chi si assume questa responsabilità.
Nel processo di crescita, che passa inesorabilmente attraverso la faglia esistenziale dell’adolescenza (e pre-adolescenza), la consapevolezza di essere figli è qualcosa che può crescere e maturare con l’evolvere della nostra età.
La crisi della maturità
Non possiamo non rilevare che oggi viviamo un tempo di crisi della maturità e dell’adultità. Siamo tutti giovani. Non esistono più gli adulti (Cfr. A. MATTEO, L’adulto che ci manca, Cittadella 2014); nessuno vuole essere adulto (sembra un di meno, una perdita).
In questo senso è abbastanza importante comprendere cosa intendiamo per maturità cristiana. C’era un tempo – non lontano – in cui affermavamo che la confermazione, ricevuta a 12-14 anni, era il sacramento della maturità cristiana. Potremmo sottoscrivere questa affermazione? Da cosa è data e testimoniata la maturità per coloro che scelgono di essere discepoli di Gesù? È una domanda che, per adesso teniamo di fronte a noi, ma a cui risponderemo alla fine del nostro colloquio.
Il paradosso cristiano: oltre ogni semplificazione
In un tempo che sembra ragionare in linguaggio macchina (0-1) e che vuole semplificare tutto, noi dobbiamo ricordare che l’esperienza della fede è radicata su un paradosso. Noi siamo discepoli di colui che è vero Dio e vero uomo; che è morto ed è risorto; che, parlandoci di Dio, ci ha rivelato che Egli è Uno e Trino; facciamo parte di una comunità che è santa, ma sempre bisognosa di purificazione… Tutto quanto è appartenente all’esperienza della fede non è e non può essere semplice (come riteniamo noi la semplicità) perché è complesso come la realtà data, diversa da quella artificiale o virtuale. Anche sul piano educativo noi dobbiamo fare i conti con questa complessità, non come un destino ineluttabile, ma come una realtà che ci precede e che, come dice il Papa, è superiore ad ogni idea.
TRE (x 2) IMMAGINI DAL VANGELO
Le teofanie del Giordano e del Tabor
Secondo la narrazione dei vangeli sinottici (Mt – Mc – Lc), ci sono due teofanie che segnano passaggi importanti nella vita di Gesù: la teofania del Giordano e quella del Tabor; in entrambe si ode una voce dal cielo che dice:
Mt | Mc | Lc | |
Giordano | Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (3,17) | Tu sei il mio Figlio diletto, in te mi sono compiaciuto. (1,11) | Tu sei il mio Figlio diletto, in te mi sono compiaciuto. (3,22)
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Tabor | Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo. (17,5) | Questi è il Figlio mio diletto, ascoltatelo. (9,7) | Questi è il mio Figlio, l’Eletto, lui ascoltate. (9,35) |
La prima teofania al Giordano, dopo il battesimo ricevuto da Gesù ce lo rivela come il Figlio diletto del Padre nel quale Egli ha posto il suo compiacimento perché ha soddisfatto ogni suo desiderio. Perché? Perché ha obbedito al desiderio del Padre di riconciliare a sé l’umanità. Perché ha condiviso in tutto la nostra natura e si è fatto solidale (non complice) con i peccatori. Perché si è fatto carico della nostra iniquità perché noi potessimo riscoprire il volto amorevole del Padre.
Nella seconda teofania, oltre a rinnovare la dichiarazione del suo amore per il Figlio, il Padre si rivolge a noi suoi discepoli e, attraverso di noi, a tutti gli uomini, comandandoci di ascoltarlo, Lui Parola del Padre fatta carne.
I servi diventano figli: Cana e Cafarnao
Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. (Gv 15,15)
Chi ascolta veramente il Signore? Chi segue l’indicazione di quella voce dal cielo?
I servi di Cana. Sono affascinato da questi uomini che si mettono in gioco con tutto il loro impegno per obbedire ad una parola assurda, detta da una donna: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. È per la fede di quei servi, perché hanno fatto quello che Gesù ha detto, che la gloria del Cristo si è manifestata ed altri hanno potuto credere (Cfr. Gv 2,11). Questi uomini sono l’immagine del discepolo perfetto che accoglie una parola e la mette in pratica, sperimentando la potenza salvifica di quanto gli è stato chiesto. Che fine avranno fatto? Saranno diventati discepoli di Gesù?
Un servo malato, ma amato. Un centurione che sa cosa significa essere servo (subalterno). Tre espressioni caratterizzano la sua fede di servo: “Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: «Va’!», ed egli va; e a un altro: «Vieni!», ed egli viene; e al mio servo: «Fa’ questo!», ed egli lo fa»” (Lc 7,8). Gesù rimane stupito per la fede di questo uomo: perché? Perché in una frase il centurione ha racchiuso tutte le espressioni più importanti dell’esperienza vocazionale radicandole nell’obbedienza. Cosa caratterizza la relazione filiale? La corrispondenza alla volontà del Padre. Gesù si vede riletto anche lui nelle parole del Centurione e, per questo, riconosce la sua fede.
Due figli: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». (Mt 21,28-31)
La consapevolezza di essere amati incondizionatamente: la Cananea e Pietro
Non è sufficiente la generazione fisiologica per essere considerati figli. Se non si è consapevoli di essere amati, la vita può diventare un inferno.
La Cananea; amati anche nel ruolo di cagnolini. L’amore di Dio è tanto grande che non dimentica nessuno, anche coloro che non sono tra il popolo eletto. C’è un amore così grande che rende figli anche al di fuori di ogni diritto naturale. Siamo figli adottivi: Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Pietro, la consapevolezza di un amore che supera ogni peccato e tradimento. Nell’incontro finale con Gesù, Pietro scopre che l’amore di Dio è più grande del suo peccato e Dio lo va a ritrovare e riconfermare lì dove si trova. Pietro, uomo adulto e forte, non ha ancora fatto l’esperienza di figlio. È interessante che Gesù lo chiami ricordandogli il suo essere figlio di Giovanni, per fargli fare l’esperienza di una nuova nascita.
TRE INDICAZIONI PER CORRISPONDERE ALLA CHIAMATA AD ESSERE FIGLI NEL FIGLIO
Nel battesimo siamo stati generati alla vita di figli di Dio, ma durante tutto il nostro percorso di vita e il nostro cammino di fede siamo chiamati a diventare figli. Come
1. Tenendo lo sguardo fisso su Gesù e seguendo lui che è il Figlio diletto del Padre nel quale il Padre ha posto il suo compiacimento. Il cristianesimo non è “la religione dei buoni valori”, ma è la sequela di Cristo per diventare per Lui, con Lui e in Lui figli di Dio. Il cristianesimo è una via di conversione continua avendo sempre come riferimento il Signore Gesù.
2. La sequela di Cristo ci porta a scoprire che la via per diventare figli passa necessariamente attraverso l’obbedienza. L’ascolto del Signore, un ascolto che diventa azione di vita, è la via attraverso cui impariamo ad obbedire con fiducia alla volontà del Padre. L’obbedienza filiale si distingue da quella servile perché è fondata sulla fiducia. Anche Gesù ha dovuto percorrere questa via: Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, … (Eb 5,7-9). L’obbedienza è il cammino per educare la libertà di ogni persona credente. L’obbedienza filiale è l’accoglienza libera e fiduciosa della volontà del Padre.
3. Oltre che dall’obbedienza fiduciosa la relazione filiale è caratterizzata dalla consapevolezza dell’amore incondizionato del Padre. Nulla mi può separare da questo amore: ne le circostanze esterne, ne le mie scelte scellerate. Come ci testimonia abbondantemente il Vangelo, il Padre è pronto a riaccoglierci e a restituirci la dignità filiale anche quando noi pensiamo di poter essere al massimo dei servi. Tale esperienza va nutrita ricuperando il valore dell’esperienza del perdono ricevuto e dato ad ogni livello della rete delle relazioni. Il perdono come esperienza di rigenerazione, ci guarisce dalla sindrome dell’impeccabilità, dell’infallibilità e dalle depressioni che scaturiscono dalla consapevolezza delle nostra debolezza.
IL PARADOSSO DELLA MATURITÀ CRISTIANA
Eravamo rimasti con una domanda. Si potrebbe parlare a lungo, ma rispondiamo con una parola di Gesù: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. (Mt 18,3).
La maturità cristiana non è il frutto di una regressione (non ritornerete), ma l’accoglienza della propria natura filiale (in molte lingue la parola bambino corrisponde a figlio).