In una settimana due domande per essere “sbattezzati”.
Il gesto è soprattutto di valore simbolico e formale e non cambia molto riguardo l’atteggiamento delle persone che già prima non frequentavano la Chiesa e si consideravano estranei e lontani dalla fede e dall’appartenenza ecclesiale… ma anche la forma ha il suo valore, per non dire il simbolo.
Lungi da me giudicare! Ovviamente è un gesto assolutamente lecito. Ognuno è libero di dissociarsi, ma, come ogni strappo, soprattutto quando è compiuto in modo polemico e aspro, lascia un po’ di amarezza.
Io non so perché quei genitori avessero deciso di battezzare il loro figlio o la loro figlia; non so se sia avvenuto solo in ossequio ad una tradizione consolidata e accolta acriticamente, oppure se ritenessero – da credenti – di fare un dono prezioso al proprio figlio o figlia.
Io non so quale esperienza di Chiesa abbiano vissuto queste persone per scegliere consapevolmente di dissociarsi formalmente dalla comunità dei credenti…
Qualche responsabilità la avremo anche noi!
A questo proposito mi viene in mente quanto è riportato nella Gaudiun et spes – Costituzione del Concilio Vaticano II – a proposito dell’ateismo; sono parole che da molti anni si sono scolpite nel mio cuore e nella mia mente e che ogni tanto ci fa bene riascoltare:
Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l’imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti l’ateismo, considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni, anzi in alcune regioni, specialmente contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell’ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione. (n. 19)
Mentre riflettevo su queste circostanze, mi è tornato in mente quel brano di Vangelo in cui, di fronte alle opposizioni dei discepoli, Gesù si mantiene totalmente libero e lascia completamente liberi coloro che ha di fronte: “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?»“ (Gv 6,66-67).
Gesù non va in crisi, non rincorre i suoi discepoli, non negozia la loro adesione …
La proposta è chiara e deve essere accolta con libertà: non ci sono altre possibilità date dalla fede. Infatti la risposta che noi ricordiamo più volentieri è quella di Pietro (happy end di una situazione critica!) che liberamente e consapevolmente dice: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69), ma accanto a lui, con la stessa libertà, altri hanno lasciato e se ne sono andati.
Gesù non li ha giudicati, non li ha inseguiti, ma, pur non rimanendo indifferente, ha continuato con quelli che hanno aderito, compreso colui che lo avrebbe tradito.
Cosa posso imparare da questa circostanza?
- C’è una forte responsabilità nella testimonianza della comunità cristiana; è chiaro che siamo uomini e donne fragili, ma la nostra incoerenza non è indifferente, lascia dei segni e scandalizza. C’è un’esigenza di verifica della nostra coerenza; c’è l’esigenza di una correzione fraterna per aiutarci ad essere sempre più fedeli al Vangelo.
- C’è un paradosso con cui siamo chiamati a fare i conti: mentre presentiamo il cristianesimo e la fede in Cristo come la risposta ad una esigenza di libertà, altre persone, proprio in nome della stessa libertà sentono l’esigenza di prendere le distanze dalla fede e dalla Chiesa. Questo paradosso ci coinvolge e ci mette in discussione.
- C’è una verifica seria da compiere sulla modalità con cui concediamo il battesimo ai bambini: si tratta davvero di famiglie credenti e disponibili ad educare nella fede? O la domanda di battesimo è fatta per altri motivi? Forse occorre essere meno sbrigativi e più disponibili a “perdere del tempo” per purificare la domanda accompagnare nell’approfondimento della stessa.
- Mi sembra che, come cattolici, nonostante gli importanti scritti dei nostri papi, non abbiamo fatto i conti in modo serio con il tema della libertà di coscienza. Se di fronte a certe prese di posizione (certamente fatte in modo polemico e aspro) noi rimaniamo feriti, dobbiamo compiere una riflessione più approfondita su cosa significhi la libertà e su come la leggiamo nella prospettiva di un rifiuto consapevole della proposta di fede.
Quindi? Cosa facciamo?
Sono sicuro che Gesù ci direbbe di non chiudere del tutto la porta dietro a queste persone che decidono di uscire dalla Chiesa. La vita è lunga e complessa e, a volte, i punti di vista possono cambiare.
Possiamo fare con il padre della parabola del figlio prodigo (Lc 15), che, pazientemente, rimane ad attendere scrutando l’orizzonte e conservando nel cuore l’immagine del volto di quel figlio che lo ha rifiutato e considerato come morto, mantenendo aperta la disponibilità a riabbracciare colui o colei che desidera ritornare a casa, con i suoi tempi.
Sempre ad autoflagellarci noi cattolici…
Mari
Autoflagellarci non so, ma un po’ di autocritica non ci fa male… grazie per lo spunto. Andrea
Grazie don Andrea per questa riflessione. Voglio ricordare con gratitudine che Dio è comunque più grande dell’incoerenza di moltissimi Cristiani e, rovesciando la parabola di oggi, in un campo di zizzania anche una sola spiga di grano può trasformare la zizzania in grano. Io stessa mi sono allontanata per anni dalla Chiesa per lo stesso identico motivo, la ricerca della libertà. Ma il giorno in cui incontri lo sguardo di una persona veramente libera prima o poi arriva e dopo non puoi più ignorarlo. È scopri che dietro quello sguardo c’è Dio, impavido e indifferente alle critiche – troppo occupato ad amare per difendersi. Il mio cuore non è stato conquistato dalla perfezione dei credenti intorno a me né da argomentazioni a difesa della fede, ma dalla luce negli occhi di un frate innamorato di Dio. E non mi è servita un’intera comunità illuminata o vedere che quello fosse lo sguardo della maggioranza, mi è stato sufficiente (e abbondante) davvero un solo incontro. Dico questo ovviamente non per dire che non serva più coerenza alla comunità cristiana, anzi ognuno di noi ogni giorno deve continuare a lottare per la propria integrità, ma lo dico perché sia una lotta che abbia non la speranza ma la certezza della vittoria, perché alla luce per entrare non serve un portone aperto, ma basta una fessura.