Non ci si abitua alla bellezza della gratuità.
E’ difficile non commuoversi di fronte all’impegno di tanti uomini e donne che si dedicano liberamente e gratuitamente per gli altri.
Il nostro tempo, a fianco a tanto egoismo, ha visto un fioritura di tante realtà di volontariato che, in vari campi, raccolgono e coinvolgono centinaia di persone pronte a rimboccarsi le maniche per il servizio degli altri e per il bene comune.
C’è però anche una gratuità incompresa che mi coinvolge direttamente ed è quella che riguarda la comunità ecclesiale.
Mi accorgo che molto spesso il servizio gratuito di tanti educatori ed operatori pastorali non viene considerato alla stessa stregua di altri servizi volontari; è come se fosse dovuto; è come se fosse scontato e, quindi, non valesse molto.
Anche il servizio di noi preti, a volte, è dato un po’ per scontato: qualcuno lo pretende, come e quando vuole, senza considerare che, anche dietro una scelta di vita totalmente dedicata al servizio, la componente della gratuità rimane l’elemento qualificante che a fatica si confronta con alcuni atteggiamenti pretenziosi.
Il mio non è assolutamente uno sfogo, ma solamente una riflessione.
Mi chiedo come possiamo aiutarci a ricuperare il valore della gratuità anche dentro un “organismo istituzionale” come la parrocchia e la Chiesa. Come aiutare a cogliere il valore grande di un servizio svolto anche dentro l’ordinarietà della vita di una comunità. E’ una responsabilità che abbiamo perché da questo dipende molto del messaggio che testimoniamo.
Papa Francesco ripete spesso a noi preti che non dovremmo essere dei funzionari; ma se, nonostante tutte le nostre buone intenzioni parte della nostra gente continua a considerarci tali, cosa c’è che non funziona? cosa c’è che dovrebbe cambiare?