
Anche nella Chiesa si litiga e si discute e si discute animatamente.
Se mai c’è stata l’immagine di una realtà monolitica e uniforme, le vicende legate ai due sinodi sulla famiglia e alla successiva esortazione apostolica Amoris Laetitia, ci aiutano a capire che anche nella comunità dei discepoli di Gesù non manca la disponibilità al confronto acceso.
La storia della Chiesa ci racconta di epoche in cui addirittura se le davano di santa ragione. Oggi i tempi e i modi – per fortuna- sono cambiati e, anche se non si viene alle mani, non mancano i contrasti e i conflitti.
Papa Francesco, con la sua tenerezza e disponibilità al dialogo non fa nulla per evitare questo confronto acceso che lui, e tanti altri, reputano benefico per la Chiesa. Famoso il suo intervento al sinodo dove ha richiamato i vescovi presenti a parlare con chiarezza e sincerità, senza il timore di cosa il Papa si sarebbe aspettato di sentire.
Solo in una comunità in cui il dialogo è vero si può crescere e camminare verso una conoscenza più profonda della volontà di Dio per questo tempo.
In questi giorni tiene banco sui giornali la lettera scritta al Papa da quattro cardinali; in essa pongono essi pongono dei dubbi su alcune questioni riguardanti la prassi ecclesiale che ha sempre reputato alcuni comportamenti e situazioni sbagliate. A loro avviso, le indicazioni contenute nella Amoris laetitia lasciano spazio alla confusione e all’errore.
Al di là delle questioni di merito che non sono banali, e fatta salva la possibilità di discutere anche in modo acceso nella comunità ecclesiale anche ad alti livelli, mi sembra che i modi scelti per affrontare la questione non siano proprio ecclesiali e che, nonostante le intenzioni dichiarate, ci sia un po’ la voglia di creare un caso.
Perché dare alla stampa quella lettera? Se avete scritto e il Papa non vi ha risposto, nella mia ingenuità mi viene da pensare che, se sei un cardinale e hai bisogno seriamente di parlare con il Papa, lui un buco te lo trova…
Ma al di là della questione in oggetto, mi sembra che un richiamo ci sia anche per noi e per le nostre comunità ecclesiali.
Chiediamoci: se abbiamo bisogno di parlare e di confrontarci su questioni che ci stanno a cuore, siamo capaci di avviare un confronto onesto? Oppure utilizziamo lo stile dei social media dove ci si infama gratuitamente e, al di là della questione in gioco, si tende a personalizzare il conflitto? Siamo ancora capaci di parlare in modo adulto tra noi? Ma soprattutto, siamo capaci di arrivare ad un momento in cui sulla questione si riesce a mettere un punto per ripartire da lì? O ci piace portare avanti il conflitto ad oltranza senza più preoccuparci della questione in gioco?
Mi sembra che su questo aspetto abbiamo tutti molto da camminare.
Da tempo le nostre comunità cristiane non sono più luogo di dialogo sincero su questioni che coinvolgono la nostra vita di adulti e il nostro vivere in questo Paese.
Se ci rifugiamo spesso dietro l’invito dei presunti esperti, che – per par condicio – devono essere sempre rappresentanti delle posizioni in gioco; se nel dialogo ci schieriamo sempre in gruppi tipici da tifoserie, piuttosto che cercare insieme di individuare il bene presente in ogni posizione per arrivare ad una sintesi possibile (non assoluta); se, ancora più semplicemente, evitiamo il confronto per non “trovare da dire” e ci limitiamo (noi preti per primi) alla ripetizione delle questioni di principio, senza assumerci l’onere difficile e precario di una traduzione storica e politica di quei principi; insomma se non re-impariamo a litigare in modo evangelico, noi rischiamo di vivere da separati in casa e di non riuscire a dire nulla di interessante a questo mondo.
Mi sembra che le occasioni non manchino. A noi la responsabilità di assumerle come una opportunità.
Ogni momento è buono per cominciare… o ricominciare.