
Ieri sera, all’inizio del mio ministero a Santarcangelo, ho rinnovato gli impegni dell’ordinazione presbiterale e la promessa di obbedienza.
Ho commentato questo rito molte volte negli ultimi anni, ma non avevo mai notato una cosa che mi ha colpito rivivendolo. Quando siamo chiamati promettere obbedienza al Vescovo, mettiamo le nostre mani giunte nelle sue: così ho fatto anche ieri sera.
Dal punto di vista della storia del rito, mi sembra che questo gesto sia stato ripreso da un’usanza in voga presso i signori feudali che richiedevano ai loro vassalli una promessa di obbedienza (sic!).
Mi sembra che nella mistagogia del rito, invece, si possa dire che l’obbedienza richieda di diventare necessariamente una questione di mani, di gesti, di azioni e che non si possa limitare a delle buone intenzioni o ad una dichiarazione verbale.
Conosciamo il valore simbolico della mani, soprattutto nell’ambito delle relazioni personali, dell’impegno nel lavoro, nell’impegno educativo…
Signore, dammi mani obbedienti, fammi vivere l’obbedienza delle mani insieme a quella del cuore e della testa.