Seminario Vescovile di Rimini, 9 giugno 2016
“Generatio rectorum benedicetur” (Sal 112,2).
I preti anziani, quelli che hanno pregato i salmi in latino, mi hanno ripetuto molte volte questa frase del Salmo 112. Doveva trattarsi di una gag in voga nei seminari di un tempo. Per noi più giovani è più difficile da capire, perché il latino lo mastichiamo poco. Ovviamente il salmo non si interessa affatto dei rettori: è la stirpe dei giusti ad essere benedetta dal Signore; ma una benedizione, come dicono i nostri vecchi, anche se arriva per sbaglio di traduzione, non fa mai male.
Sono passati quasi dieci anni da quel 15 giugno 2006, quando, al termine della processione del Corpus Domini, il vescovo Mariano mi ha invitato a prendere un appuntamento per un incontro con lui, perché – disse – mi doveva parlare. Il 19 giugno mi comunicava che sarei diventato rettore del seminario. Ho lasciato la parrocchia della Colonnella il 14 luglio e, da quel giorno, sono rimasto in seminario.
Molte cose sono successe in questi dieci anni in questa comunità e a me: alcune le avrei evitate volentieri, altre sono state molto belle; direi che tutte mi hanno fatto crescere. Avrei voluto fare un elenco, ma alla fine l’ho cancellato perché mi risultava inutile.
Chi certe cose le ha vissute, se le porta nel cuore; agli altri interessano relativamente.
Ho pensato a queste righe come ad un testamento (spirituale?) da scrivere alla vigilia della mia partenza dal seminario, perché, come dice una famosa poesia, “partire è un po’ morire”.
Questo “testamento”, in verità, serve più a me che ad altri; mi serve per fare il punto della strada, per fare verifica su ciò che ho nel mio zaino di camminatore… lo condivido con gli amici.
Cosa porto via dal seminario dopo questi dieci anni? Cosa ci sarà nel mio zaino?
- Una esperienza di formazione che mi ha aiutato ad andare in profondità nelle cose. Il mio amico don Antonio, che è stato per dodici anni rettore ad Ancona, diceva sempre: “fare il rettore fa bene al rettore”. Dopo dieci anni posso sottoscrivere questa affermazione. Mi ha fatto bene essere rettore; mi ha fatto crescere, mi ha aiutato ad andare in profondità nelle cose. È stato un tempo e un’occasione di grazia.
- Una esperienza di fraternità vera e quotidiana con i seminaristi, ma soprattutto con i preti. Ci abbiamo creduto, ci abbiamo investito; la fraternità ci ha custodito e ci ha sostenuto. Fatte le dovute distinzioni, credo che sia la stessa cosa in una coppia di sposi: quando curi le relazioni, le relazioni ti aiutano. Sono stato molto aiutato da questa fraternità che è stata vissuta con equilibrio, libertà e rispetto reciproco.
- Una esperienza di vicinanza ai due vescovi che hanno guidato la nostra Chiesa in questi ultimi dieci anni. Il rettore si trova a vivere un rapporto molto stretto con il Vescovo per diversi motivi. Questa relazione mi ha consentito di vedere la Chiesa nella sua dimensione diocesana, da un punto di vista di responsabilità: è stato faticoso, ma mi ha fatto crescere. Anche questa è stata una grazia che non vorrei disperdere.
- Un clima di famiglia con tutti coloro che hanno fatto e fanno parte di una realtà grande e stratificata come è il seminario. Con coloro che qui lavorano o che svolgono attività di volontariato nella pastorale vocazionale o nei vari settori che coinvolgono il seminario; abbiamo cercato di costruire relazioni vere e fraterne, pur nel rispetto dei ruoli di ognuno. Siamo stati una realtà efficiente ed unita, perché i due aspetti non sono necessariamente contraddittori. Questa esperienza mi ha dimostrato che dovunque si può costruire una fraternità, anche lì dove il Signore mi condurrà.
Cosa lascio al seminario (o come lascio il seminario)?
Come minimo uno si augura di non aver causato danni irreparabili. Ma poiché io sto scrivendo un testamento, e non sono troppo modesto, penso di poter lasciare qualcosa a questa comunità e a questa realtà.
Ovviamente – lo sottolineo con molta forza – quello che indico non può essere considerato in nessun modo mio merito esclusivo; come accade nella Chiesa, tutto è sempre frutto di sinergie e collaborazioni virtuose; tanto più nel nostro caso, dove abbiamo sempre sottolineato l’esigenza di una gestione collegiale…
- Lascio una realtà che, in Diocesi, è un punto di riferimento e una realtà apprezzata dalle comunità e dai singoli. I tanti che sono passati di qui, in questi anni, hanno sperimentato un clima positivo, un clima di fede e di Vangelo. Per la Diocesi e per tante realtà regionali, dire “seminario di Rimini” è evocare una realtà bella, attiva e laboriosa, accogliente, evangelica, giovane e seria contemporaneamente.
- Lascio una realtà ordinata e con un clima sostanzialmente sereno. Anche la messa di questa sera, con tante persone diverse e coinvolte in modo diverso, mi conferma che, pur essendo una realtà molto complessa, vive uno stile di famiglia in cui ognuno sente di poter essere accolto e di poter portare il suo contributo.
- Lascio un progetto, frutto del lavoro intenso di un anno, che segna la strada su cui il seminario può continuare a camminare in un periodo oggettivamente difficile. Mi sarebbe dispiaciuto lasciare il seminario “al palo”, senza una prospettiva positiva. Grazie a Dio questo non succede e mi rende tranquillo, oltre che grato.
- Lascio il mio contributo ad una tradizione di pastorale vocazionale che ci ha visti sempre al lavoro, mai seduti, mai rassegnati, sempre in ricerca ed in ascolto delle provocazioni dello Spirito. Lascio una pastorale vocazionale che è un punto di riferimento apprezzato in Diocesi e fuori della Diocesi, soprattutto perché è una realtà sempre meno clericale e sempre più aperta ad un’immagine di Chiesa che ha imparato a considerare tutti i battezzati come chiamati. Lascio una pastorale vocazionale consapevole di doversi ripensare e di doversi ricentrare di fronte alle nuove sfide che attendono la Chiesa nel suo dialogo con il mondo, ma assolutamente in grado di farlo.
Di cosa e a chi dico grazie?
La lista delle persone e delle circostanze potrebbe essere molto lunga, ma, limiterò a dei macro gruppi e a dei macro temi.
- Ringrazio prima di tutto i preti che hanno condiviso con me questi anni di ministero: Vittorio, Matteo, Alessio, Cristian e Marcello. Come ho già detto, sono stati anni difficili, ma belli. So di non essere un soggetto semplice, ma mi sono sempre sentito accolto, curato, richiamato e custodito. Come ho scritto alla gente di Santarcangelo: ci siamo incontrati come fratelli e siamo diventati amici, nel senso più autentico del termine. Grazie perché non era scontato.
- Ringrazio gli altri adulti che vivono quotidianamente questa comunità, in particolare coloro che – formalmente – sono dipendenti del Seminario, ma con i quali abbiamo costruito relazioni belle: Celestina, Maria, Gabriele, Sandro, Viola, Carmela, Federica, Giulietta; senza dimenticare Sara, Roberto e Bio e tutti gli altri che in questi anni hanno collaborato con noi, anche se per breve tempo. Grazie per il vostro impegno, per la vostra dedizione oltre il dovuto, per il bene che avete voluto e volete a me, ai preti, ai ragazzi e a questa realtà del seminario che, per tutti voi, è molto più che un posto di lavoro. Potrei dire molte altre cose per ognuno di voi, ma poiché tra noi le conosciamo, le custodiamo nel cuore, lì dove sono al sicuro.
- Ringrazio tutti coloro che, come seminaristi, sono passati dal seminario in questi anni. Come ho già scritto, sono stati per me una provocazione quotidiana ad essere testimone e non “istruttore” della vita presbiterale. A voi ho detto già abbastanza cose in questi dieci anni, non ne ho altre da aggiungere.
- Ringrazio tutti coloro che hanno collaborato in vario modo con la pastorale vocazionale, mettendo testa, cuore e braccia in tante attività che ci hanno visti impegnati insieme al 200%. Soprattutto ai membri delle équipes vocazionali, vera anima delle attività e volto dell’impegno vocazionale della nostra Diocesi. Sarebbe bello e giusto pronunciare i vostri nomi, ma per fortuna siete tanti e non è possibile. Nessuno è stato, ne sarà dimenticato per il poco o il molto che ha fatto. Permettetemi solo un ricordo grato per la bella presenza delle suore Apostoline che ci ha accompagnato in questi ultimi nove anni, dalla prima settimana vocazionale del 2008 e fino a quest’anno.
- Ringrazio tutti i giovani e le giovani “che ci hanno scocciato” (lo dico con ironia) ogni sera, provocandoci a far sì che la nostra casa rimanesse una casa accogliente e aperta, impedendoci di chiuderci in pace nelle nostre stanze a riposare e chiedendoci di metterci in gioco anche nelle relazioni occasionali, quelle del dopo-incontro, quelle dove viene fuori il di più che non si dice nell’incontro. Ringrazio tutti coloro che hanno accolto le nostre proposte, che ci hanno mostrato il volto giovane di una Chiesa che non è annichilita, ma alla ricerca di una pienezza che solo in Cristo può essere trovata. Ringrazio tutti coloro che hanno scelto questa casa un po’ come la loro casa, e la abitano fuori dagli schemi e dalle formalità. Qui ci metto dentro tutti: dal coro diocesano agli universitari; dai giovani dei gruppi “vieni e vedi” a quelli della Messa a fuoco; dai gruppi dell’ACR – ACG agli scout; dai gruppi short time, Samuele, Zaccheo, Ester … dimentico sicuramente qualcuno … ma tutti sono stati un dono e una provocazione bella. Vi abbiamo parlato di Gesù, ma attraverso di voi, Gesù ha parlato a noi.
- Ringrazio i vescovi che mi hanno chiamato e confermato in questo servizio in questi dieci anni, consentendomi di vivere questa bella esperienza. Ringrazio i preti e i diaconi della Diocesi che mi/ci hanno sempre dato fiducia e mi/ci hanno sostenuto con affetto in questo ministero non semplice.Davvero misterioso è il disegno del Signore, ma possiamo solo dire grazie.
A chi devo chiedere perdono?
Tanti sono i ringraziamenti e altrettanti dovrebbero essere le richieste di perdono.
Chiedo perdono per le asperità del mio carattere, quelle che mettono gli altri in soggezione e non rendono semplice l’avvicinarsi a me.
Chiedo perdono per il mio atteggiamento saccente, per la mia arroganza, per la mia fretta di raggiungere il risultato, per la mia preoccupazione efficentista, per i miei attaccamenti ai progetti quando mi hanno impedito di vedere le persone e le loro vere domande.
Chiedo perdono per le mie pigrizie nella conversione, per la mia mediocrità nel vivere il Vangelo, per la fatica a vivere la correzione fraterna, per tutte le volte che ho derogato al richiamo di una persona perché mi risultava scomodo e faticoso.
Chiedo perdono per la mia poca sobrietà, perché mi sono concesso con superficialità cose non necessarie, perché non sempre ho condiviso con semplicità quanto possedevo con chi ne aveva bisogno, ma mi sono nascosto dietro alibi teorici che nascondevano solo il mio egoismo.
Chiedo perdono per le volte che ho pronunciato giudizi sommari, perché non sempre sono stato strumento di comunione, perché ho messo in evidenza più i limiti, del bene che era presente.
Chiedo perdono – infine – perché nonostante i miei cinquanta anni suonati e nonostante tutti i doni che il Signore mi ha dato, ancora non sono santo, ancora la mia vita non risplende del Vangelo, ancora sono necessari molti distinguo e molta comprensione a tutti coloro che, incontrando me, ricercano un vero testimone di Gesù.
Che cosa voglio affidare e per che cosa voglio pregare?
Voglio affidare al Signore il seminario e questo nuovo progetto che comincia presso le parrocchie di San Giuliano e le Celle. Abbiamo fatto il disegno. Moltissimo è ancora da fare e c’è bisogno di molto sostegno e preghiera da parte di tutti. Forse non mancheranno gli imprevisti; preghiamo perché nessuno si perda di coraggio. In particolare voglio affidare al Signore don Paolo, don Marcello e don Cristian e i ragazzi del seminario; sono una realtà preziosa che il Signore saprà custodire e far crescere.
Voglio affidare la piccola comunità delle Maestre Pie con Madre Lina e Suor Soledad che abiteranno questa casa da settembre. Anche in questo caso molto è da pensare e da mettere in atto. Non è mancato loro il coraggio per dire sì alla proposta che è arrivata tramite la Diocesi; con l’aiuto di Dio non mancherà loro il sostegno per rendere concreto quello che finora è solo un progetto.
Voglio affidare al Signore la Pastorale Vocazionale della nostra Diocesi e in particolare don Cristian, Davide e Cinzia e tutti coloro che, in modo diverso si sono messi in gioco. Il Signore vi renda testimoni della bellezza che Lui è capace di realizzare in coloro che accolgono la sua Parola e lo seguono.
Voglio affidare al Signore tutti i giovani che sono in cammino di discernimento vocazionale e che hanno intersecato il mio/nostro cammino in questi anni, soprattutto coloro con i quali c’è stato un rapporto più stretto nell’accompagnamento spirituale. Il Signore custodisca i passi di ognuno di voi e vi doni la sua pace, quella che, come diceva don Oreste, non lascia in pace.
Voglio affidare al Signore tutti coloro che in questi anni ho accompagnato nella pastorale universitaria, nel servizio come docente all’ISSR, nel servizio di formatore nei corsi di pastorale. In particolare agli ormai ex-universitari e agli amici del CUD va un pensiero affettuoso: il Signore vi aiuti a custodire le relazioni tra di voi senza che nulla mai possa corrompere la vostra amicizia, che è la cosa più preziosa che avete.
Infine desidero affidare il mio cammino vocazionale e ministeriale che continua a Santarcangelo. Parto sereno, senza conti in sospeso, senza questioni irrisolte; curioso di scoprire ciò che il Signore ha preparato per me, contento per la fiducia che mi è stata accordata, fiducioso perché so che il Signore sarà accanto a me “e avrà cura di me” (Cfr. 1 Pt 5,7).
PARTIRE È UN PO’ MORIRE
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po’ di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
E’ un dolore sottile e definitivo
come l’ultimo verso di un poema…
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po’ della nostra anima.
http://www.poesieepoeti.it/poesia/partire-e-un-po-morire-edmond-haracourt.asp