Una pesca miracolosa e inutile?

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Il testo del vangelo di Giovanni proposto oggi nella liturgia mi lascia un po’ sconcertato e a disagio. Nell’apparizione di Gesù risorto sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-13) ci sono alcuni elementi che, almeno, appaiono illogici. Proviamo a ricostruire la scena.

Gesù si accosta da lontano, dalla riva, ai discepoli impegnati nella pesca (che non lo riconoscono) chiedendo qualcosa da mangiare. E’ lo stile tipico di Gesù che si accosta come bisognoso di aiuto, che sollecita la nostra disponibilità all’accoglienza; lo aveva fatto anche con la donna Samaritana (Cfr. Gv 4,7) e con Simone, in un racconto molto simile narrato da Luca, quando gli aveva chiesto di poter usare la sua barca per parlare alla folla (cfr. Lc 5,1-11).

I discepoli, un po’ laconicamente, rispondono di no e Lui da indicazioni per la pesca che diverrà sovrabbondante ( “non riuscivano più a tirare su  (la rete) per la grande quantità di pesci”), al limite del problematico (153 grossi pesci).

Pietro, riconosciuto il Signore grazie alla mediazione del discepolo amato, si getta in acqua (tra l’altro vestendosi prima di gettarsi in mare) e raggiunge Gesù; gli altri, con la barca, lo seguono in breve tempo. Ma arrivati a riva cosa trovano?

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”. (Gv 21,9-10)

Ma allora? Perché il bisogno di quella pesca abbondante? C’era già di che mangiare e il pesce pescato, anche se aggiunto a quello già sul fuoco, non è per nulla necessario. Sembra quasi una gentilezza di Gesù concedere che al pesce già sul fuoco venga associato quello pescato dai discepoli.

La pesca sovrabbondante non è necessaria; Gesù non ne ha bisogno. Sembra quasi che la conceda per guarire la frustrazione dei discepoli oppressi dall’infruttuosità del loro lavoro. Quell’abbondanza di pesce pescato gratifica i discepoli, ma non è necessaria per Gesù che ha già preparato quello che serve per mangiare insieme.

Questa immagine è molto forte per noi, pescatori (di uomini) del terzo millennio, spesso impegnati in bilanci e valutazioni. Come e su quali criteri valutiamo il nostro lavoro? Su cosa basiamo le nostre verifiche? Quando diciamo che i numeri non contano, ma che conta l’autenticità dell’esperienza, ci crediamo veramente?

In questo testo sembra che l’unica cosa veramente importante sia riconoscere Gesù risorto presente e vivo, e indicarlo agli altri perché possano reagire di conseguenza, andando incontro a lui che è sempre pronto ad accoglierci. Tutto il resto sembra meno rilevante.

Non voglio subito tradurre in concreto la riflessione su questo testo, perché credo che debba lavorare dentro di noi e illuminarci riguardo all’essenziale del nostro impegno e lavoro. Giusto per scansare ogni dubbio e ogni possibile fraintendimento dico: lungi da me sostenere l’emergente minimalismo pastorale che, spesso, mi sembra sia usato come alibi per fare i propri comodi. Lungi da me.

Non voglio quindi tirare le conclusioni di questa riflessione, ma la lascio lì come una intuizione, e la condivido perché possa diventare occasione di confronto.

Andrea

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

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