Dio non è un amuleto

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Quando il popolo fu rientrato nell’accampamento, gli anziani d’Israele si chiesero: «Perché ci ha sconfitti oggi il Signore di fronte ai Filistei? Andiamo a prenderci l’arca dell’alleanza del Signore a Silo, perché venga in mezzo a noi e ci liberi dalle mani dei nostri nemici»…Quindi i Filistei attaccarono battaglia, Israele fu sconfitto e ciascuno fuggì alla sua tenda. La strage fu molto grande: dalla parte d’Israele caddero trentamila fanti. In più l’arca di Dio fu presa … Cfr. 1 Sam 4,1-11

La prima lettura nella messa di oggi, narra di una terribile sconfitta dell’esercito d’Israele con i Filistei ( leggi il testo ). I Filistei vengono per cercare battaglia e vincono.

Un’occasione mancata

Gli anziani del popolo si pongono una domanda importante che però non viene presa sul serio: perché il Signore oggi ci ha sconfitti di fronte ai Filistei?  Non dicono: come mai siamo stati sconfitti in battaglia dai Filistei? La domanda è stata posta in modo corretto, secondo la fede d’Israele: se il popolo era stato sconfitto era perché Dio lo aveva permesso: perché era accaduto? Questa domanda avrebbe dovuto aprire una riflessione nel popolo ma non accade e perdono una grande occasione.

Scelgono invece la scorciatoia della superstizione e considerano l’arca dell’alleanza alla stregua di un amuleto da portare in battaglia perché, con la sola sua presenza, conduca magicamente alla vittoria. Accade un disastro. I Filistei fanno strage degli Israeliti e catturano l’arca dell’alleanza. Dio non si lascia incastrare dalle nostre superstizioni e non combatte le nostre battaglie se noi non viviamo una relazione vera con lui. Dio non è un juke box che eroga soluzioni a problemi a domanda. Dio guarda il nostro cuore e interviene in nostro aiuto quando la nostra intenzione è onesta.

Mi vengono in mente due applicazioni concrete strettamente collegate a questo tema: l’indulgenza del Giubileo e la benedizione delle case.

Il Giubileo e l’indulgenza

Uno dei doni più belli del Giubileo è l’indulgenza plenaria che si può ottenere varcando le porte sante e vivendo i gesti richiesti (confessione, comunione, professione di fede, preghiera per il papa). L’indulgenza, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1471) è la remissione della colpa temporale conseguenza del peccato, perché il peccato ha sempre delle conseguenze e anche se io vengo perdonato, rimango responsabile delle conseguenze causate dal mio peccato. L’indulgenza agisce su queste conseguenze. Ma non è un fatto magico. Per ottenere l’indulgenza si richiede la conversione del cuore e il desiderio di aderire con tutto noi stessi alla volontà di Dio. Non pensiamo di prendere in giro il Signore. Se non c’è questa adesione, almeno come desiderio sincero, difficile pensare che ci possa essere indulgenza.

Attenzione dunque a non considerare il Giubileo una sorta di sanatoria indipendentemente dalle intenzioni del cuore. La grandezza della misericordia di Dio si manifesta quando un uomo si converte come Zaccheo (Lc. 19) e come il figlio prodigo (Lc. 15).

La benedizione delle case (o visita alle famiglie)

In questi giorni molti dei miei amici preti stanno partendo per la benedizione delle case o, come si dice, per la visita alle famiglie (la distinzione è molto giusta e pertinente). Perché la gente ci accoglie a casa? Molti hanno il sincero desiderio di questo incontro e approfittano di quei pochi minuti per un colloquio oltre che per la preghiera fatta insieme. Altri desiderano semplicemente rispettare una tradizione tramandata dai tempi antichi. Alcuni (non so dire se pochi o molti) vivono questa benedizione come una sorta di porta fortuna, come un rito propiziatorio che è indipendente dalle esigenze della fede. Ma che cosa significa chiedere la benedizione di Dio se desidero usarlo per arrivare ai miei scopi e lo strumentalizzo per i miei affari? Potrà Dio benedire quello che non corrisponde alla sua volontà?

Il lebbroso di Mc 1,40-45

Nel vangelo di oggi ci viene presentata la figura di un lebbroso che con coraggio e umiltà si avvicina a Gesù dicendo: “se vuoi puoi purificarmi”. Di fronte a quest’uomo gravemente ammalato, escluso dalle relazioni, proprio a causa della sua malattia e condannato ad una morte sociale, Gesù prova una grande compassione. Sente il cuore di quell’uomo, il suo desiderio di vita, ma anche la sua delicatezza nell’accostarglisi.

Gesù stende la mano, tocca quell’uomo e dice una parola che è una buona notizia: lo voglio; sii purificato! E all’istante quell’uomo fu guarito dalla lebbra.

Dio non gode del male dell’uomo, anzi, come diceva Benigni l’altro ieri presentando il libro del Papa, Dio partecipa al dolore dell’uomo soffrendo lui stesso e facendo diventare il dolore uno spazio di condivisione con l’uomo. Dio desidera la vita dell’uomo, la sua gioia, la sua salute, ma non si lascia trattare da amuleto. Il lebbroso si avvicina a Gesù con delicatezza, con speranza, con un desiderio sincero non inquinato dalla pretesa. E Gesù interviene.

Se quegli anziani del popolo si fossero chiesti cosa significava quella sconfitta… se invece di risolvere il problema fossero rimasti a considerare le cause di quella sconfitta e avessero convertito il loro cuore … e non avessero trattato Dio come un amuleto …

E noi nelle nostre sconfitte … di fronte alla nostre lebbre …?

Pubblicato da tecnodon

Prete cattolico. Formatore in seminario ed Assistente AGESCI

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