Come sempre la narrazione della storia umana mette in evidenza il ruolo dei protagonisti, per tradizione maschi. La storia biblica non fa eccezione.
Nella narrazione della grande epopea dell’esodo di Israele dall’Egitto alla terra di Canaan, promessa da Dio come nuova dimora per il suo popolo, i grandi protagonisti, come ben si sa, sono Mose, Aronne, Giosuè, Caleb, … Profeti, sacerdoti, condottieri…
Questa la la lettura scontata! Ma se si riesce a leggere in filigrana la narrazione, emergono tutta una serie di figure secondarie che svolgono un ruolo determinante nel contribuire alla salvezza di questo popolo.
Proprio nel primo capitolo, prima ancora che appaia la figura di Mosé, il libro dell’ Esodo ci presenta la figura di due levatrici di cui riporta il nome: Sifra e Pua.
Ad esse il Faraone ha ordinato di uccidere i bambini maschi degli Ebrei, per mettere in atto, in modo soft, il progetto di pulizia etnica che il faraone ha architettato e che il popolo egiziano di quel tempo sostiene, come soluzione al suo timore per la presenza del popolo degli Ebrei in mezzo a loro.
Questi, pur abitando in Egitto da quattrocento anni, sono ancora visti come degli stranieri, e ora anche come dei nemici pericolosi.
Il racconto ci testimonia che Sifra e Pua decidono di disobbedire al Faraone perché temevano Dio. Questo timore, nella Bibbia, non ha nulla a che fare con la paura, ma è il sinonimo del rispetto dovuto alla volontà di Dio, che parla alla coscienza dell’uomo e gli indica cosa sia giusto e bene fare, prima e oltre ogni ordine di potenti.
Sifra e Pua, noi diremmo, agiscono in ossequio alla loro coscienza e decidono di opporsi al comando del Faraone.
Tale disobbedienza è unita ad una buona dose di furbizia, che permette loro, non solo di non pagare le conseguenze della loro disobbedienza, ma di essere premiate da Dio con una famiglia numerosa.
Leggendo questo testo mi sono venuti i mente i tanti giusti che, nel corso della storia, temendo Dio, obbedendo alla loro coscienza, si sono opposti a progetti malvagi ed iniqui, mettendosi in gioco in prima persona, scegliendo di non derogare alla propria responsabilità personale.
Fra le tante testimonianze mi ritorna in mente la collezione presentata da Svetlana Broz nel libro, “I giusti nel tempo del male”, in cui racconta storie di ordinario eroismo durante il periodo della guerra nei Balcani, testimoniato da uomini e donne normali, che, in contesti inquinati da logiche di violenza, sopraffazione, ingiustizia, non si sono tirati indietro nel compiere la giustizia, quando la situazione lo ha loro richiesto.
Oggi è il nostro turno di compiere il bene, senza attendere che il contesto sia favorevole.
L’esempio di Sifra e Pua, come quello di tanti giusti coraggiosi, ci siano di sprone.