In questi giorni ho avuto l’occasione di leggere questo bel libretto di Anselm Grun. Premetto che non sono un fan scatenato di Grun la cui produzione letteraria vede moltissimi titoli, ma devo ammettere che questo libro mi ha piacevolmente coinvolto in una riflessione attualizzante sulla figura di Benedetto da Norcia e soprattutto sulla sua Regola di vita, testo di pedagogia religiosa e spirituale che conta ormai più di 1500 anni.
La domanda da cui parte Grun è una domanda importante: cosa può insegnare la Regola di Benedetto all’uomo di oggi? Come tradurre le indicazioni che lui consegna a coloro che desiderano percorrere la via della salvezza?
1. Una regola per tutti e non per pochi
Un aspetto interessante della Regola è che essa non si rivolge ad una élite già motivata, ma a tutti gli uomini che desiderano salvare la propria vita. L’importanza di una regola sta proprio nel suo valore terapeutico e formativo, che vale di più, tanto più si abbisogna di compiere un percorso di ricupero da una situazione distratta e poco fruttuosa.
“Ascolta , figlio, gli insegnamenti del maestro e apri l’orecchio del tuo cuore; accogli di buon grado le esortazioni di un padre che ti ama, e mettile efficacemente in pratica, perché attraverso la fatica dell’obbedienza tu possa far ritorno a colui dal quale ti sei allontanato per la pigrizia della disobbedienza“. (Regola, prologo, 1-2)
2. Vivere alla presenza di Dio
In un tempo caratterizzato dalle forti dicotomie, Benedetto ci ricorda il centro della vita dell’uomo e della sua vocazione: vivere alla presenza di Dio, essere consapevoli che Dio ci vede in ogni luogo. Ovviamente questo elemento costituisce una buona notizia e non una minaccia di controllo sulla vita dell’uomo. Per vivere alla presenza di Dio l’uomo non deve fuggire dal mondo e dalle cose del mondo, perché Dio è presente nel mondo. Vivere alla presenza di Dio per il monaco, come per ogni uomo, significa lasciarsi guardare profondamente da Lui e mettersi in ascolto della sua Parola, una Parola che viene donata ogni giorno, sempre nuova e sempre diversa.
3. Ora et labora: un motto che diviene uno stile di vita
Oggi, come probabilmente ai tempi di Benedetto, si tende a porre in opposizione la preghiera e il lavoro; sembra che le due dimensioni non possano coesistere, perché l’uno porta alla distrazione dell’altro. Per Benedetto il lavoro salva dall’ozio ed aiuta la preghiera. Al primo posto viene la preghiera, perché nulla si deve anteporre al servizio di Dio, Essa ci aiuta a non assolutizzare il lavoro, a mantenere pure le motivazioni del perché lavoriamo. Ma anche il lavoro diviene preghiera se lo faccio alla presenza di Dio e non per glorificare me stesso. Il lavoro mi stanca, ma è una buona stanchezza: viene dalla consapevolezza di aver realizzato qualcosa di buono per Dio e per gli uomini.
4. L’arte del discernimento: il carisma del responsabile della comunità
Il discernimento richiede alla guida della comunità un totale distacco da se stesso. La discretio non è solamente la capacità di saper leggere bene le situazioni e i senitmenti dei cuori, ma deve diventare una presa in carico di ognuno, perché ognuno si senta accompagnato nel realizzare l’obiettivo della sua vita. “La discretio fa ordine e chiarezza nella vita della comunità, ma si tiene ben lontana da regole e principi improntati alla rigidità. Per chiunque abbia a che fare con gli uomini, è più facile farsi prendere da roboanti parole d’ordine che non chinarsi invece su ognuno”.
5. La pace benedettina
Può fare pace solamente chi l’ha già fatta dentro di sé. La pace è la capacità di saper accogliere senza ignorarle le debolezze e le fragilità dell’altro. La pace è saper presentare con semplicità le proprie esigenze e i propri desideri. La pace cresce dalla capacità di confronto ed è frutto della preghiera nella quale ognuno cerca di confrontarsi con la volontà del Signore, prima di presentarsi alla comunità con le proprie richieste, che, comunque, rappresentano sempre un’ammissione di debolezza. Il contrario della pace è la mormorazione, quella incapacità di confrontarsi veramente con gli altri e con l’autorità nella comunità.
6. La stabilità di vita
La vita moderna ha demonizzato la stabilità facendola coincidere con la staticità. Oggi si esalta e si rende necessaria la flessibilità, la mobilità, segni distintivi di modernità, di capacità di adeguarsi continuamente alle esigenze del contesto. Anche la difficoltà a creare dei legami è sintomo di una fatica a cogliere la stabilità come valore… eppure di stabilità si avverte un gran bisogno! Per un monaco che vive la Regola di Benedetto la stabilità (diventata addirittura un quarto voto) ha fondamentalmente tre caratteristiche: la disponibilità a permanere fisicamente in un luogo, facendo di quel luogo il proprio ambiente di vita; la disponibilità a legarsi in permanenza con le persone che compongono la stessa comunità; la capacità di saper resistere alle situazioni di vita che ci mettono in crisi, quelle che Benedetto chiama le tentazioni.
La stabilità rappresenta dunque una premessa ed un obiettivo.
Fondamentale per la stabilità è l’ordine nello svolgimento della vita, nella comunità, nell’esercizio del lavoro, nella gestione dello spazio.
7. La comunità secondo san Benedetto
Oggi si avverte un gran bisogno di comunità e molti sono i giovani che accolgono la proposta di vivere un tempo più o meno lungo in esperienze di convivenza regolata. Secondo Benedetto la comunità di vita è fondata sul rispetto e sulla disponibilità/capacità di sopportarsi vicendevolmente. La comunità non può essere una via per la mia auto-realizzazione e neppure il luogo in cui pretendo di cambiare gli altri secondo i miei criteri. La comunità è il luogo dell’accoglienza dell’altro e della presa in carico dell’altro.
La comunità è anche il frutto di una comune responsabilità che non viene delegata all’autorità. Pilastro della comunità è l’amore di Cristo verso cui tutti i membri tendono e rispetto al quale tutti i membri della comunità si mettono in gioco. Se ognuno ricerca la volontà di Dio, la comunità non può che essere il luogo in cui ci si sostiene nell’attuarla. “La comunità si costruisce sulla volontà di rendere presente il Signore e, di contro, di far sparire se stessi; tutto il resto verrà allora da sé”.
Queste righe sono un tentativo di condividere quanto ho recepito dalla lettura di un bel testo e l’invito a leggerlo, senza accontentarsi di questa mi sintesi alquanto ridotta e sommaria.
ANSELM GRUN, Benedetto da Norcia. La regola per l’uomo d’oggi, San Paolo 2006, pp. 106.
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