Sono un appassionato lettore di Ken Follet. Ho letto molti dei suoi romanzi e lo trovo uno scrittore appassionante e coinvolgente: un bravo narratore. Uno dei libri più belli che abbia mai potuto leggere è “I pilastri della terra” con il suo sequel “Un mondo senza fine”. Su qualsiasi sito internet potete trovare la trama di questi due romanzi e quindi non spreco battute per raccontarvi la trama: piuttosto leggete il libro.
“I pilastri della terra” è uno dei pochi libri che ho riletto e, quando qualche tempo addietro ho scoperto la trasposizione cinematografica in quattro puntate sono stato contento di poterla vedere. A parte la solita dose di delusione che coglie qualsiasi lettore nel constatare come le proprie fantasie sono state rese dal regista di turno, quella fiction cinematografica non mi era dispiaciuto.
Ho accolto con entusiasmo anche la notizia della trasposizione cinematografica del secondo romanzo della serie e per adesso ho potuto vedere le prime due puntate. Sono rimasto molto colpito dagli anacronismi (soprattutto religiosi) che il film riporta. Probabilmente me ne sono accorto solamente io e pochi altri, ma mi colpisce come certe cose passino senza che la critica ne dica qualcosa. Ne cito solamente tre che mi sembrano macroscopici: ci troviamo all’inizio del 1300, ma nella chiesa di Kingsbridge c’è un bel confessionale anche se sappiamo che il suo uso si è imposto dopo il Concilio di Trento celebrato più di due secoli dopo i tempi narrati dal film; alla cintura delle suore (monache?) è appeso un bel rosario, diffuso nel XIII secolo da san Domenico, ma esploso nell’uso comune dopo il pontificato di Pio V (siamo sempre nel XVI secolo); infine sul comodino del signorotto di turno (violento e prepotente) troviamo un bel libro rilegato della canzone di Rolando, cosa molto improbabile visto che prima della invenzione della stampa il libro era qualcosa di talmente prezioso (perché scritto a mano) che difficilmente poteva trovarsi nella casa di uno che era poco più che un fattore.
Ripeto che probabilmente certe sottigliezze le ho colte io e pochi altri, ma dispiace questa superficialità nella trasposizione in immagini di quello che pretenderebbe di essere un romanzo storico.
Devo dire, per completezza, che mi dispiace anche l’indulgere insistentemente sulla patologica ossessione sessuale e narcisista del priore del monastero, ma, a dire il vero, questa insistenza la si ritrova nel romanzo, perché purtroppo Ken Follet, pur essendo un ottimo narratore, non sfugge alla legge del mercato contemporaneo che esige che ogni storia sia abbondantemente condita da sesso e violenza. Se poi questo coinvolge la Chiesa in quell’epoca -considerata dai più – oscura, che fu il medioevo, … le vendite sono garantite!
Nell’episodio 3, quando Caris legge una lettera di Merthin, si vede un’inquadratura di Firenze. Siamo nel 1347, però si vedono benissimo il corridoio vasariano (1565), gli Uffizi (1560) e Ponte Santa Trinita (1567).